14.6.10

Cibarsi di Radici


Anch'io volevo scrivere su di lui, sul grande&grosso professore che tutti avremmo voluto avere, ma dopo questo tuo post così emozionante mi ritiro in silenzio, che è meglio. E lasciare la parola a te che hai interpretato alla grande tutta una generazione, anzi, almeno due o tre, dato che anche i ragazzi più giovani ne hanno una conoscenza propria e ne affollano i concerti. Sai cosa? Forse lo abbiamo adottato in tanti perchè lo sentivamo “nostro”, con le sue poesie ma anche con le sue battute, forse perchè anche in concerto sembrava stesse all'osteria, quindi tra amici. A leggerla oggettivamente, non ha una gran voce, ma emoziona; non è un chitarrista stratosferico, ma le sue note sono calde; e ti dà l'idea di essere più pronto a darti una pacca sulla spalla che un pugno, con la sua aria da burbero benefico”: questo è un commento che avevo lasciato sul diario di Linda qualche giorno fa, dopo che lei aveva dedicato a Francesco Guccini un bellissimo ricordo. 

Ed oggi, che il professore compie gli anni, mi sono ripromesso di allargare il discorso, con quell’album che me lo ha fatto eleggere nel mio personale empireo (anche) musicale. Ed è strano come certi artisti entrino in una vita altrui per non uscirne: e Francesco, senza dubbio, è uno di questi.L’arrivo era stato un po’ casuale, una vecchia cassetta in cui l’amico che tentò con scarsa fortuna di insegnarmi a strimpellare la chitarra, aveva registrato due dischi bellissimi, “Due anni dopo” e “L’isola non trovata”. Srnza, peraltro, metterci i titoli, ed una qualità audio...beh, qualità mai come in quel caso era un termine sprecato.
Un po' di canzoni più o meno le conoscevo, dato che il buon Guccini era pur sempre quello che aveva scritto “Dio è morto”, “Auschwitz” e tante altre canzoni per Nomadi ed Equipe84. E in quella torrida estate del ’72, tra un libro di greco, uno di latino e la maledetta matematica da riparare a settembre, l’estate era lunghissima e caldissima: occorreva un qualcosa che aiutasse la mente a restare sveglia.
“Ma solo questi due, ha fatto?”
“No, ce ne sarebbe anche uno prima, ma è pressocchè introvabile”
“Ma neanche a Bologna? E tu vuoi che Nannucci non ce l’abbia?”
[nota: Nannucci era, per noi provincialotti, una specie di Lourdes laica, per quanto riguardava i dischi. E le sue commesse vere e proprie vestali: bastava canticchiare qualcosa e te le vedevi apparire col magico LP tra le mani.]
Così, nel corso di un pellegrinaggio  -ed è incredibile pensare come ogni spostamento Ferrara/Bologna somigliasse ad un vero e proprio viaggio della speranza all’andata, un ritorno degli Argonauti al ritorno carichi di quelle magiche sporte bianche-  oltre al “famigerato” Folk Beat n.1  -pagato “ ‘na cifra”, ma soldi ben spesi, c’era questo disco nuovo. 
“Radici”: scherzando, dissi che il titolo alludeva alla mia dieta alimentare delle settimane successive, dopo essermi dissanguato nel Tempio.

Invece la cosa era maledettamente seria.
La copertina, una foto ingiallita, lo sfondo del cortile di una vecchia casa, immortalati quelli che poi scopriremo essere almeno tre generazioni di Guccini, tra nonni, zii (tra i quali impareremo anni dopo lo zio “Amerigo”) e nipoti; sul retro lo stesso Guccini con la moglie, ad indicare la continuità della discendenza familiare.
Canzoni unite da un filo conduttore, l'identificarsi nella gente, in una comunità, perfino nelle pietre di una casa sul confine della sera, attraverso la ricerca e la riscoperta delle proprie radici, come recita la prima canzone omonima.  Non una poesia, Guccini non è un poeta:  è un, forse "il" narratore, tanto più che la sua inesauribile vena ha trovato ampio respiro in veri e propri romanzi. 
Casa che non è solo un luogo come gli altri, presso Pàvana, sull'Appennino Tosco-Emiliano, ma al tempo stesso un mondo, un teatro di vicende che poi troveranno spazio nel libro “Croniche Epafaniche”. 
“La locomotiva”, tributo alla canzone popolare, nello stile imparato da Dylan & dintorni,  racconta una storia vera: il 20 luglio 1893, alla stazione di Poggio Renatico, il ventottenne fuochista bolognese Pietro Rigosi, approfittando dell'assenza del macchinista, sgancia la locomotiva del treno diretto a Bologna dal resto del convoglio e percorre con essa un tratto della linea a velocità folle, finendo poi con lo schiantarsi contro una vettura in sosta; il buon Pietro si salva, nonostante l’amputazione di una gamba, ed il fatto ottiene grande risonanza sulla stampa nazionale, dato anche quel triplice urlo in sintonia coi tempi: “trionfi la giustizia proletaria!”. L’epica della protesta politica, ma anche del coraggio non fine a se stesso, ma per una causa. Ad avercene…….

Ma le radici esistono anche in città, nella città dove si è cresciuti, specie se è una “Piccola Città” come Modena, “bastardo posto” e “nemica strana”, ma anche magico scenario dell'adolescenza, e che adesso appare “già nostra e ora incredibile e fredda”.
Come racconta Guccini stesso, “Piccola città”  “è il mio secondo romanzo, Vacca di un cane, riassunto in una canzone (…) è la mia nemica strana, la mia adolescenza, il periodo forse più tragico della mia vita perchè nell’immediato dopoguerra le aspettative e le speranze erano tante e le possibilità di realizzarle quasi nulle”. 
Ad arricchire musicalmente il disco, arriva la suggestione di “Incontro”, una sceneggiatura incisiva, quasi cinematografica, una meditazione sugli intrecci della vita raccontata al limitare della linea d’ombra dell’età che avanza, quando si comincia a sentirsi più vecchi e malinconici. Una delle canzoni più intimiste di Guccini, dove il triste incontro con un'amica, che narra le vicende tragiche di dieci anni di vita vissuta, si svolge in un'atmosfera che un verso come “stoviglie color nostalgia” basta da solo a raccontarci completamente. 
Spesso in Guccini c’è un tema: quello dei ritmi “dell’uomo e delle stagioni”: lo ritroviamo anche in quel gioiellino che è la “Canzone Dei Dodici Mesi”, ricca di riferimenti a poeti che in vario modo hanno celebrato le stagioni, e ricca soprattutto di immagini che solo chi cerca di vivere ancora legato ai cicli della natura può riuscire a creare. E lui è senz'altro uno di questi: anche un saggio culturale, ricco di citazioni varie e nascoste, dalla poesia del Duecento a TS Eliot, da John Donne a Cecco Angiolieri.
Poi, scusate, ma cantare "Giugno, che sei maturità dell'anno, di te ringrazio Dio: in un tuo giorno, sotto al sole caldo, ci sono nato io, ci sono nato io..." è una soddisfazione in più......
Al centro della toccante “Canzone della bambina portoghese” c'è invece lo smarrimento, il non sapere che “la vera ambiguità è la vita che viviamo, il qualcosa che chiamiamo esser uomini...”; la perdita, sia pure momentanea, dei propri riferimenti, complice l'immensità dell'Atlantico. Una metafora della generazione che esce dal '68, che sa quello che ha lasciato ma non sa a cosa va incontro. Così la bambina portoghese che sulla spiaggia guarda l'Oceano che le sta di fronte, e non immagina cosa vi potrebbe trovare al di là. Bellissima la variazione musicale che cambia ritmo al brano.

Radici sono, nell’opera, anche i “miti del passato” a cui si abbandona un vecchio nel descrivere ad un bambino com'era ai suoi tempi la pianura che i due osservano: coperta di grano, con frutti, colori, alberi verdi, con “il ritmo dell'uomo e delle stagioni” non ancora cancellato dallo “sviluppo”: è “Il vecchio e il bambino”, nata in realtà come canzone contro l'olocausto nucleare, ma in sostanza un racconto che mantiene al centro la straziante nostalgia per un mondo perduto, che il vecchio ricorda piangendo.
E, in tutta sincerità, per quanto mi riguarda, un po’ anch’io con lui.

Auguri, quindi, Professor Francesco: anche se  notoriamente nella tua (nostra?)isola non trovata tu sei riservato e un po’ orso, i critici musicali, anche se non più “militanti severi”, sono impegnati ad avvistare meteore, facendole passare per stelle luminose, e non a parlare di cari, vecchi, solidi e consolidati pianeti viventi, e noi “seguaci” non teniamo conto del calendario. E neppure dell'anagrafe, se contiamo le emozioni in profondità. 

PS: da domani un noto gruppo editoriale diffonderà nelle edicole nove album (cominciando proprio da “Radici”: sarei curioso di sapere quali sono i sei esclusi, e con quale criterio) ed il dvd di “Anfiteatro Live”. Quale migliore occasione per….?