Alberto ha 76 anni.
Anzi, a voler essere precisi ne ha 72 più 4.
Nella sua prima vita Alberto era un veterinario: stimato, apprezzato, serio professionista.
Ma con un debole, un debole che ha segnato anche gli ultimi giorni della sua prima vita. Diciamo che la passione per i mammiferi si era parecchio esplicata nei confronti delle mammifere bipedi con capacità riproduttive e pollici opponibili?
Qualcuno lo definirebbe un puttaniere; qualcuno, più elegante, lo avrebbe definito un "utilizzatore finale".
Conseguenze? che nella sua seconda vita, quella attuale, Alberto riceve, nella struttura che lo ospita, molte visite da figli più o meno legittimi e/o naturali, e nulla da quelli che comparivano legittimamente sul suo stato di famiglia.
Cosi', quando 4 anni fa, al termine della carriera da veterinario fu trovato esanime in una stalla del forese, nessuno ha mai saputo se la zampata della vacca che lo aveva colpito e mandato per mesi in coma provenisse da una quadrupede o dal variegato (meglio, cornificato) mondo dei bipedi.
Al risveglio dal coma, Alberto non ricordava nulla: incredibile come il dr. Alzheimer lavori di fretta ed efficacemente, in certi casi.
Quando è arrivato in struttura, Alberto era rinato: nel senso che doveva ricominciare tutto daccapo. A leggere, a scrivere, a parlare anche solo attraverso frasi elementari, a tenere le posate. Certo, le manate che colpivano all'improvviso le, diciamo così, sporgenze delle Oss lasciavano intuire che una certa manualità non era andata persa.
Anzi.
Adesso, quando i figli lo vengono a trovare, il massimo che possano ottenere dal dialogo sono i commenti sulle qualità estetiche del personale sociosanitario; nel caso di una figlia femmina, il massimo possibile è la richiesta di informazioni sul fatto se lei sia più o meno zoccola della madre.
Ieri questa figlia, davanti ad una sigaretta rubata nell'attesa che le restituissero quel "padre davvero" dal rito del bagno, mi raccontava delle umiliazioni che aveva passato, figlia illegittima in un paese piccolo in cui notoriamente "la gente mormora". Degli sforzi vani a farsi accettare dai figli "veri", quelli che alla notizia del ricovero ospedaliero del padre prima, ed alla sua deportazione in struttura poi, avevano avuto come unica preoccupazione quella di intestarsi beni e proprietà in modo che nulla toccasse ai "bastardi".
"P. , ma come è stato, se posso chiederglielo, vivere in una situazione del genere?".
La sua risposta mi ha consolantemente spiazzato: "Lui, con me ed i miei fratelli, è sempre stato buono. Ci ha riempito di affetto che ci ha permesso di superare qualunque difficoltà, da quelle materiali alle malelingue del paese. Soprattutto le malelingue. Ma lui c'era tutte le volte che abbiamo avuto bisogno, ha preso anche le botte dal marito di nostra madre pur di vederci. Lui è buono".
Restituiscono un Alberto lavato, profumato, fascinoso quasi. P. gli sorride, e gli occhi lasciano capire quello che le stupide convenzioni soffocano.
Saluto P., saluto mia madre, saluto gli altri ospiti: Alberto intanto lancia "tirini" a Bernadette, la bella infermierina congobelga.
Esco dalla struttura, l'aria è fresca. Ripenso ad Alberto, al suo "basic instinct", alle figlie e figli che non hanno avuto niente ma in realtà hanno avuto tanto.
Differenza tra il buon padre di famiglia, ed un padre buono.
Dove avrò messo l'accendino?