13.11.13

[Lupo] Alberto.

Alberto ha 76 anni. 
Anzi, a voler essere precisi ne ha 72 più 4. 
Nella sua prima vita Alberto era un veterinario: stimato, apprezzato, serio professionista. 
Ma con un debole, un debole che ha segnato anche gli ultimi giorni della sua prima vita. Diciamo che la passione per i mammiferi si era parecchio esplicata nei confronti delle mammifere bipedi con capacità riproduttive e pollici opponibili? 
Qualcuno lo definirebbe un puttaniere; qualcuno, più elegante, lo avrebbe definito un "utilizzatore finale". 
Conseguenze? che nella sua seconda vita, quella attuale, Alberto riceve, nella struttura che lo ospita, molte visite da figli più o meno legittimi e/o naturali, e nulla da quelli che comparivano legittimamente sul suo stato di famiglia. 
Cosi', quando 4 anni fa, al termine della carriera da veterinario fu trovato esanime in una stalla del forese, nessuno ha mai saputo se la zampata della vacca che lo aveva colpito e mandato per mesi in coma provenisse da una quadrupede o dal variegato (meglio, cornificato) mondo dei bipedi.
Al risveglio dal coma, Alberto non ricordava nulla: incredibile come il dr. Alzheimer lavori di fretta ed efficacemente, in certi casi.
Quando è arrivato in struttura, Alberto era rinato: nel senso che doveva ricominciare tutto daccapo. A leggere, a scrivere, a parlare anche solo attraverso frasi elementari, a tenere le posate. Certo, le manate che colpivano all'improvviso le, diciamo così, sporgenze delle Oss lasciavano intuire che una certa manualità non era andata persa.
Anzi.
Adesso, quando i figli lo vengono a trovare, il massimo che possano ottenere dal dialogo sono i commenti sulle qualità estetiche del personale sociosanitario; nel caso di una figlia femmina, il massimo possibile è la richiesta di informazioni sul fatto se lei sia più o meno zoccola della madre.
Ieri questa figlia, davanti ad una sigaretta rubata nell'attesa che le restituissero quel "padre davvero" dal rito del bagno, mi raccontava delle umiliazioni che aveva passato, figlia illegittima in un paese piccolo in cui notoriamente "la gente mormora". Degli sforzi vani a farsi accettare dai figli "veri", quelli che alla notizia del ricovero ospedaliero del padre prima, ed alla sua deportazione in struttura poi, avevano avuto come unica preoccupazione quella di intestarsi beni e proprietà in modo che nulla toccasse ai "bastardi".
"P. , ma come è stato, se posso chiederglielo, vivere in una situazione del genere?".
La sua risposta mi ha consolantemente spiazzato: "Lui, con me ed i miei fratelli, è sempre stato buono. Ci ha riempito di affetto che ci ha permesso di superare qualunque difficoltà, da quelle materiali alle malelingue del paese. Soprattutto le malelingue. Ma lui c'era tutte le volte che abbiamo avuto bisogno, ha preso anche le botte dal marito di nostra madre pur di vederci. Lui è buono".
Restituiscono un Alberto lavato, profumato, fascinoso quasi. P. gli sorride, e gli occhi lasciano capire quello che le stupide convenzioni soffocano.
Saluto P., saluto mia madre, saluto gli altri ospiti: Alberto intanto lancia "tirini" a Bernadette, la bella infermierina congobelga. 
Esco dalla struttura, l'aria è fresca. Ripenso ad Alberto, al suo "basic instinct", alle figlie e figli che non hanno avuto niente ma in realtà hanno avuto tanto. 
Differenza tra il buon padre di famiglia, ed un padre buono.
Dove avrò messo l'accendino?


4.11.13

Una storia sbagliata


Tre parole: Sardinia Gold Mining.



Per chi non conoscesse la storia, la riassumo brevemente: una società canadese [Buffalo Gold  Ltd.] dice che in Sardegna c'è l'oro.
Che bello, la corsa all'oro, il nuovo Eldorado, ce n'è a Furtei ed in tante altre zone.
Viene concesso un permesso di estrazione a Furtei, però in questo caso si può dire senza paura di smentite che non è tutto oro quel che luccica. L'oro c'è, ma in quantità infinitesimali: ma può il progresso, la fame di posti di lavoro, fermarsi di fronte a queste quisquilie? No di certo, la soluzione è semplice ma allo stesso tempo raffinata, davvero scientificamente avanzata: sciogliere intere montagne nell'acido solforico per ricavarne l'oro.
Particolare singolare: il presidente della società nel 2001 è un certo Cappellacci, divenuto successivamente presidente della regione per meriti sul campo.
Il risultato è questo: [da "La Stampa" di oggi -  Nicola Pinna]
Le guardie armate non si guardano alle spalle. E sul versante più nascosto del monte si può tentare l’irruzione: si indossa la mascherina, si striscia sotto la rete metallica e si attraversa un sentiero nascosto dagli alberi. L’odore arriva anche a distanza, ma per vedere quanto è grande la bomba ecologica bisogna superare la barriera di eucaliptus. Il mostro è tutto blu e fa molta paura. Il sole estivo lo ha reso scheletrico ma appena piove si rigonfia e continua a divorare le viscere di questo angolo nascosto di Sardegna. 
Siamo lontani dal mare e di un tesoro che doveva far diventare tutti ricchi è rimasto lo scarto puzzolente: un grande lago di cianuro. La ricerca dell’oro ha fatto ricchi solo gli australiani che hanno sventrato la collina di Santu Miali e agli abitanti di Furtei, Guasila e Segariu è rimasto in eredità un disastro ambientale. La Sardinia Gold Mining (controllata dalla canadese Buffalo Gold Itd, partecipata dalla Regione Sardegna e presieduta dal 2001 al 2003 dall’attuale governatore sardo Ugo Cappellacci) ha interrotto l’attività alla fine del 2008. E nel 2009 ha portato i libri in tribunale. Decretato il fallimento, gli operai sono stati licenziati e delle bonifiche nessuno si è preoccupato. A evitare l’esplosione ci pensa l’Igea, la società regionale che controlla le miniere dismesse, ma intanto il lago di acido nascosto dietro al monte diventa sempre più grande. 
Gli uccelli che atterrano per sbaglio non hanno scampo e le carcasse nascoste tra i cespugli lanciano lo stesso messaggio di un cartello giallo con il teschio: alle rive di questa distesa di acidi è meglio non avvicinarsi troppo. I rubinetti che scaricano sono sempre aperti. Grossi tubi neri partono dai pozzi dismessi e rilasciano a valle una valanga di metalli disciolti: mercurio, ferro, piombo, cadmio e zolfo. Non è acqua di sorgente e il colore lo dimostra. Il liquido che si espande in ogni angolo si presenta con lo stesso colore dell’oro, ma quando il sole picchia forte i metalli si cristallizzano e formano grandi zolle blu. La contaminazione si allarga ulteriormente e tutto quello che non si vede è già nel sottosuolo. Eppure, oltre le sponde del lago dei veleni c’è qualche agricoltore che produce grano e carciofi. «Ogni tanto scaricano acqua, ma è solo un depistaggio, un modo per mescolare le sostanze – racconta Onofrio Giglio, 68 anni passati quasi tutti in campagna – In questo terreno che apparteneva al Comune avevamo piantato decine di eucaliptus, ma da quando è iniziata l’attività nelle miniere si è creato il deserto». 
L’unico bel ricordo dell’oro di Furtei è il calice donato a Benedetto XVI. Per tutto il resto, questa è la storia di un fallimento e di un disastro. In dieci anni di scavi sono venute fuori meno di cinque tonnellate d’oro, sei d’argento e quindicimila di rame. Nel 1997 erano stati assunti in 110 ma pochi anni dopo erano solo 42. E così il sogno del nuovo Eldorado si è infranto. «La Regione deve spiegare perché dal fallimento a oggi nessuno ha bonificato la distesa di cianuro – denuncia il deputato Mauro Pili – E come se non bastasse non ha neppure riscosso le garanzie fideiussorie: ora che la società è sparita i sardi dovranno farsi carico di tutti i costi. È stata una grande operazione speculativa e l’indagine finanziaria internazionale lo dimostra». 
Il governatore Ugo Cappellacci, che della miniera di Furtei conosce bene la storia, affida al portavoce il compito di spiegare i progetti e il lavoro fatto finora: «Abbiamo già effettuato la caratterizzazione del suolo e sottoscritto due convenzioni con Igea (4,2 milioni la prima e 2,5 la seconda) per un impianto di depurazione delle acque acide. Da poco abbiamo stanziato altri 9 milioni per la bonifica integrale».