30.5.12

Flash/3

Cosa aggiungere, quando le parole sembrano inadatte a raccontare? Credo sia sufficiente, al di là delle altre transenne, degli altri cornicioni crollati, del sentirsi ostile ogni muro fino a ieri confortevole per la vista, leggere tra le righe del burocratese di questo comunicato:
"Le nuove scosse di terremoto che hanno colpito l'Emilia il 29 maggio hanno indotto l'Amministrazione Comunale di Ferrara e Ferrara Arte a chiudere anticipatamente la mostra a Palazzo dei Diamanti, Sorolla. Giardini di luce.
È stata una scelta difficile, motivata innanzitutto dall'entità del fenomeno sismico. Per poter riaprire al pubblico la sede espositiva, sarebbe infatti indispensabile avviare una nuova istruttoria di verifica di agibilità dell'edificio storico, onde poter garantire la sicurezza dei visitatori, del personale in servizio, oltre che delle opere ivi allestite. La durata di tale processo, dall'esito incerto, non è prevedibile nella situazione attuale. A questo si aggiungono le legittime preoccupazioni dei responsabili dei musei e dei collezionisti privati che hanno generosamente prestato a Ferrara opere di grande valore e che, allarmati dalle notizie drammatiche diffuse dalla stampa internazionale, chiedono il rientro anticipato delle opere.
Il rammarico degli organizzatori è tanto più vivo, considerato il buon esito della mostra, che è stata accolta molto favorevolmente dal pubblico e dalla stampa e ha raggiunto il risultato estremamente significativo di circa 35.000 visitatori
".

Ci dicono di stare tranquilli, ma come si può, quando tutto intorno leggi, in occhi insolitamente sbarrati e cerchiati, l'esasperazione? Ed è già buona che non sia disperazione. Intanto, è stata deviata anche la linea dell'autobus che passava per il Centro; oggi era inaccessibile un tratto del Corso che porta all'Arcispedale; alle speculazioni politiche dei giorni scorsi si aggiungono quelle pseudoscientifiche sulla base di presunte conseguenze di trivellazioni, che stanno ad un siama come una pulce in groppa ad un toro. Stamattina ci hanno fatto rientrare in ufficio, e colpiva vedere colleghe e colleghi piangere come bambini ai primi giorni di scuola, arrivati là davanti non volevano più entrare.
Disarmati, in una guerra che nessuno avrebbe mai voluto combattere.

26.5.12

Flash/2

Intanto, un abbraccione affettuoso a tutti, non ho il tempo per rispondere singolarmente, si sono aggiunti anche problemi familiari ad assottigliare il già [scarso] tempo disponibile. Leggo tutto, assorbo tutto, mi fate bene.


Cosa dire, a sei giorni dal sisma?
Provo un senso di schifo, a vedere la reazione dei media di fronte alla vicenda. C'è anche chi davanti ad un fatto del genere pensa solo alla vuota polemica politica, non c’è un minimo senso di comunità e responsabilità civile. Deliranti articoli in cui sostanzialmente si accusano i capannoni industriali di essere caduti perchè costruiti dalle coop rosse (e quindi, capannoni comunisti...). Quanta miseria umana.
Non è passata neppure una settimana, in città più passano le ore più ci si rende conto della buona sorte che ci è toccata, considerando che davvero a dieci minuti di macchina dal Castello c'è la morte, l'angoscia, la disperazione. 
L'incognita del futuro, dato che bastano davvero due tuoni di quelli intensi per far tremare e sobbalzare. Ieri mattina, per spiegarmi, stavo per entrare in sede al lavoro quando un rumore di vetro in mille frantumi mi ha gelato il sangue. Invece era solo succeso che il vigilante si fosse chiuso fuori, con le chiavi lasciate dentro, ed avesse come unica possibilità immediata lo spaccare un vetro per entrare.
E’ passata neppure una settimana, mi pare che tutto il possibile sia stato fatto. La citta’ ha subito ferite importanti, ma ha retto: poi magari mi tocca leggere sui quotidiani locali le missive di gente che attacca il sindaco per il fatto che non sono passati a raccogliere il pattume.
Domenica pomeriggio, sotto la pioggia, verso le sei vagavo in macchina per le strade, e tutti i luoghi pericolosi dove erano caduti cornicioni, camini, fregi, et similia erano già transennati. Rispetto ai sei/settemila senza casa dei comuni limitrofi, in città abbiamo qualche evacuato, in certi casi è più la psiche ad avere crepe pericolose, che le abitazioni. E se l’esercito non è a Ferrara, mi sembra che a pochi chilometri da qui ci sia una situazione ben più drammatica, con grandi tendopoli e paesi che quasi non ci sono più. Ma non se ne parla più di tanto: a me è bastato leggere gli occhi di colleghi di Poggio, di San Carlo, di Scortichino per definirmi un privilegiato.
Intanto, in mattinata vado a comperare il Parmigiano terremotato: in breve, il Consorzio ha recuperato decine di migliaia di forme crollate dalle scaffalature e quindi ammaccate  -ne ha scritto anche Petrini su "Repubblica" mercoledi- che vengono vendute a prezzo "politico": per avere subito in cassa soldi freschi, e ricominciare quindi, sin da subito, a fare qualcosa per le aziende produttrici [e filiera ad esse collegata]. C'è la possibilita di comperare forme intere, ma anche tagli da un paio di chili, a prezzo prefissato per evitare distorsioni o speculazioni. Non è beneficenza o convenienza, mai come stavolta mi sembrano concetti lontani: la chiamerei una iniezione di fiducia. Quella di cui tutti abbiamo un po' bisogno, e non solo nelle zone del sisma.




27.5 - Aggiornamento.

Su un quotidiano locale c'è questa lettera/comunicato. Mi sembra un ottimo spunto di riflessione.

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Se  questo  è  il  terremoto

Ma in Rai, e a Roma, sanno che c’è stato il terremoto? Sanno cosa significa? Sanno che l’Emilia Romagna non è solo l’Emilia o solo la Romagna e oltre il Parmigiano Reggiano, che pure ci distingue nel mondo, c’è la manifattura o il comparto del biomedicale che trainano l’economia e rischiano di non ripartire?Come ufficio stampa della Confartigianato di Ferrara, sono stata contattata nei giorni scorsi dalla redazione della trasmissione di Rai Tre, Robinson, condotta da Luisella Costamagna. Mi è stato detto che la puntata di venerdì avrebbe dato spazio al terremoto con ospiti in studio e collegamenti esterni in diretta, da Ferrara appunto, nell’area adiacente al Castello estense. Mi è stata chiesta la disponibilità dell’associazione a partecipare, insieme anche ad alcuni imprenditori. Il mio ok è stato immediato, così come quello dei colleghi delle altre associazioni. E così, venerdì sera, i vertici di Confartigianato, Unindustria, Confcommercio, e alcuni sindaci e assessori del territorio si sono messi a disposizione.La faccio breve: la puntata non era evidentemente dedicata al terremoto, in studio si è parlato del successo del Movimento a 5 Stelle alle recenti elezioni amministrative, del microcredito, della legge elettorale, di Berlusconi. E ovviamente non sono mancate le battute di Antonio Cornacchione sul Bel Paese. I collegamenti con Ferrara sono stati due, tre con i saluti, per complessivi forse – e sono generosa – 10 minuti, distanziati oltre un’ora l’uno dall’altro. Gli ospiti – possono chiamarsi così in un simile frangente? –, peraltro in piedi, al freddo, come belle statuine, hanno cominciato a spazientirsi, alcuni ad andarsene. Confartigianato, rappresentata dal direttore Giuseppe Vancini e due imprenditori che hanno subito danni, è rimasta. Stessa cosa hanno fatto Unindustria, col direttore Roberto Bonora, e il sindaco di Poggio Renatico, Paolo Pavani. Gli altri no. Però dopo un po’, io che pure stavo dietro, sono sbottata con l’inviato, Flavio Soriga, che era in palese disagio ma probabilmente non aveva l’autonomia o la forza per dire in trasmissione che qui, a Ferrara, dove era lui, dove la terra trema da giorni, dove nel pomeriggio l’intera frazione di San Carlo era stata evacuata, la gente voleva parlare del terremoto. E se ne fregava bellamente di quel di tutto un po’ – non certo le nostre priorità immediate – di cui hanno trattato i big seduti in studio sollecitati da domande che nulla avevano a che fare con quanto si verifica qui, al Nord, e scusate l’ironia. Lì in piedi, per due ore, c’erano vertici delle associazioni e sindaci che avrebbero meglio impiegato il loro tempo a rispondere alle telefonate di imprenditori e cittadini che in questi giorni hanno bisogno di essere rassicurati. Sono rimasta sgomenta nel sentire che le poche parole dedicate al terremoto sono state di questo tenore, ‘Ci colleghiamo con Ferrara, terra di agricoltori e allevatori, dove sabato notte c’è stato il sisma, con 7 vittime, 4 delle quali in fabbrica’.
Scusate, ma è tutto qui? A chi ha organizzato la puntata chiedo se il terremoto è stato usato come riempitivo della trasmissione. Tutto questo fa riflettere.
E io, come giornalista, mi chiedo: come si fa a Torino o a Palermo a fare capire cosa è successo a Ferrara e nelle zone colpite, se la Rai, che prima e meglio degli altri dovrebbe fare informazione, tratta i terremotati come un’appendice dei mali dell’Italia? Persino le vittime – oggi i primi funerali – sono state trascurate, due parole e via. Forse in trasmissione hanno creduto che qui, venerdì, la vanità di apparire fosse superiore alla paura. Ma ribadisco, chi ha accettato la diretta lo ha fatto per poter dare un contributo concreto, anche di richieste al Governo, nella piena responsabilità del proprio ruolo. Ed è vero che alla fine, il povero inviato, è riuscito a dare la parola a chi di dovere per dire queste cose. Ma è stato alla fine, è stato per sfinimento, ed è stato ridicolo. Il collegamento si è rivelato una farsa che non ha reso onore a nessuno, neppure a chi ha perso la vita. Però come cittadina, come giornalista, come elettrice, mi preoccupa quanto si è verificato venerdì. Perché se questo è lo spaccato dell’interesse esistente per quanto è successo allora la situazione è drammatica, prima che economicamente moralmente. Il rischio (volontario?) è che si dimentichi che qui ci sono famiglie distrutte per la perdita dei propri congiunti, la gente è stata sfollata, l’arte ha subito danni, gli imprenditori hanno bisogno di risorse dallo Stato per ricominciare. Che qui servono soldi, non come ossigeno, ma come salvezza. E a chi, in studio, ha presentato l’Emilia Romagna come terra di agricoltori e allevatori, ricordo che c’è tanto altro. Qui la mattina non si mungono solo le vacche prima di andare al lavoro, qui c’è gente che piange famigliari e amici che non ci sono più, che ha le mani nere perché sta spostando i cocci dei muri crollati delle proprie case e aziende, ci sono i funzionari delle associazioni che vanno in ufficio con l’angoscia nel cuore per i loro imprenditori, ci sono sindaci e amministratori che vorrebbero non dovere passeggiare per i container per confortare le famiglie sfollate. Sarebbe stato bello che a Robinson ne avessero parlato. Oppure, non ne avessero parlato affatto, non ci avessero fatto credere che c’era interesse per l’Emilia piegata. Perché quello di venerdì, è stato un pessimo servizio. Un servizio credo costato qualcosa per la trasferta di inviato e operatori e macchinari. Oltre alla beffa, lo spreco.
Camilla Ghedini         

20.5.12

Flash

Quanta paura.
Terrore allo stato puro.
Non so, io vivo al terzo piano e la scossa l’ho sentita eccome.
Stavo dormendo: all’improvviso un boato fortissimo, il primo pensiero che un treno fosse deragliato ed avesse colpito il palazzo.
Tutto in casa si muoveva: televisore, suppellettili, tutti gli oggetti, mobili, tutto.
Svegliarsi così, col cuore in gola dal terrore è stata la più brutta esperienza vissuta finora nella mia vita. E' inenarrabile quanto possano essere lunghi 20 secondi. Sentirsi prima impotenti, poi vulnerabili sopravvissuti.
Riabbraccio tutti quelli che mi esprimono conforto. E, consentitemi, piena solidarietà a tutti i miei conterranei che, come me, hanno vissuto questa brutta esperienza. Le facce per strada erano ovviamente sconvolte: visi lividi, persino lineamenti stravolti dal terrore.
Ed un pensiero particolare ai lavoratori che hanno perso la vita durante il lavoro.


ore 19.20: Vi abbraccio tutti. E' una situazione assurda: sono qui in condizione da zombie, ogni tanto si sente qualche strano movimento, la giornata è oltretutto piovosa, come se non bastasse ci sono dei deficienti che spargono voci incontrollate, Vigili del Fuoco e Protezione Civile si stanno facendo in quattro contando che la zona ovest (quella che va verso Bondeno, Cento, Finale Emilia, per spiegarmi) è anche quella con un tessuto produttivo più significativo, e lì i danni sono ingenti. In città c'è il terrore, mascherato spesso da voglia di normalità, di tranquillità: ma quella ce la si gioca, in queste circostanze. Si infrange sul primo calcinaccio che incontri per strada.
Perchè poi basta un rumore di quello del piano di sopra che sposta la sedia a farti sobbalzare.
Parafrasando Dylan, "A hard night is gonna fall".

Per Paolo: la "tua" Copparo non sembra avere grossi danni materiali, ma la paura scava a fondo nel morale.


21.5
Pioggia. Da ieri pomeriggio, e tutta notte, la notte in cui ho dormito perchè dovevo, al di là delle forze allo stremo, quando la psiche è così messa a soqquadro.
Maledetta pioggia, se aggrava ulteriormente i disagi. In città, anche anche: ma questo complica il compito degli addetti ai controlli, stare su un tetto in queste condizioni non è certo il massimo. ma quanto male possa fare vedere le strade storiche transennate, quelle striscie biancorosse a tenere lontano dai pericoli di crollo, ma anche di camminare rasente i muri per ripararsi dalla pioggia.
Tutti i supermercati chiusi, mercatini rionali semideserti, dato che molti bancarellari arrivavano dalle zone più colpite. Capisco che abbiano ben altri problmi, adesso, addosso.
Ospedale e PS gremiti: a conferma che i legami tra psiche e corpo non sono fantasie da strampalati.
Verrà, prima o poi, un raggio di luce?

22.5
"i sopralluoghi dei tecnici regionali consentono la riapertura degli uffici": l'sms è arrivato ieri pomeriggio, sul tardi. Hanno chiesto all'oste se il vino era buono, insomma. Spero solo che almeno ci sia consapevolezza, in questa certificazione autonoma. Vedere pezzi di intonaco prontamente rimossi dall'impresa delle pulizie non so se sia più rallegrante o esorcizzante, ma tant'è. 
La mia direttore, con lo spirito delle donne al comando, ha aggiunto un "forza e coraggio" che suona come un cordiale bevuto dagli alpini durante una guardia notturna: riscalda ed in qualche modo tonifica.
Per città, un'altra cosa che impressiona è il guardare in alto, verso i tetti: intere file di coppi spostate, in balia dei venti. Rispetto a quello che succede a pochi km. da qui fa quasi venir da ridere, ma non vorrei che il problema fosse sottovalutato. E comunque non si erano mai visti tanti camper per strada, in città. Anche nel mio palazzo quasi nessuno ha lasciato l'auto in garage, ma da qua al dormire dentro ce ne passa. Una mia collega e suo marito ci hanno dormito, in macchina, all'interno del parcheggio di un centro commerciale: mai avrebbero pensato di condividere luogo e notte con prostitute e clienti. Insomma, anche questo è un modo di esorcizzare la paura. Decisamente molto laico.

16.5.12

Quello che [io non] ho


È un'illusione che le foto si facciano con la macchina.... si fanno con gli occhi, con il cuore, con la testa. [Henri Cartier-Bresson]


SULLA scia di “Quello che [non] ho”,  anch’io mi sono scelto una parola, dato che nessuno mi inviterà mai in trasmissione, ma trovo l’idea stimolante. 

E la mia parola è FOTOGRAFIA.

Perché, quindi, quella frase del Maestro? Perché è da una vita che mi pongo il solito quesito sull’uso del mezzo, e sul rapporto che intercorre tra l’immagine finale e il pensiero che l’ha prodotta, se il risultato finale corrisponda alla dichiarazione di intenti, o invece accenda una luce su una sorta di verginità emozionale. Perché la macchina fotografica in sé non è che un mezzo, un attrezzo del mestiere per cui è indifferente scegliere quale utilizzare. Prevale il motivo che provoca la reazione occhio-cervello-cuore, per dirla alla HCB: cioè, rimane fondamentale il fotografo. 
C’è stato un tempo in cui c’era la rincorsa alla “macchina perfetta”:  gente che si svenava per comperare la macchina ultraprofessionale, corredata con le ottiche più prestigiose; e magari, per fare le stesse foto che avrebbe fatto con una macchinetta da quattro soldi. Tutto finalizzato alla “foto perfetta”. Siamo nella civiltà dell’immagine, ed i programmi di fotoritocco sono quelli che dilagano sulla maggior parte dei computer di chi si diletta anche di fotografia, oltre che divenire imbianchini bravi a verniciare di [improbabile] perfezione i soggetti che popolano le illustrazioni dei giornali.
Ma cos'è una foto perfetta?  Partiamo dal presupposto che la perfezione sia un assunto filosofico: non esiste se non come concetto astratto. Eppure la fotografia naturalistica ha sempre cercato la foto virtualmente perfetta, intesa come massima definizione possibile, luce diffusa in grado di esaltare il contrasto ed evidenziare il dettaglio, massima nitidezza e profondità di campo. Basta consultare un numero a caso di “National Geographic”, che per primo ha fatto della massima nitidezza una regola:  fino a che era in commercio la pellicola, i suoi fotografi usavano quasi esclusivamente Kodachrome. Ed è uno spettacolo, vedere primi piani di fenicotteri rosa o tetraoni delle praterie dove vengono evidenziate le singole piume, o le goccioline d'acqua su anfibi di ogni specie: colori saturi, luce perfetta. Paesaggi lunari alle porte di casa, o giochi di luce tra le fronde delle foreste nepalesi in cui si leggono i segni mistici della Creazione. Nitidezza, contrasto, saturazione, contributo dello sfocato: la “Foto Perfetta”.
Eppure, non è detto che  la perfezione sia sinonimo di espressione, e non è detto che dia emozioni: non sempre la perfezione emoziona. Nella ricerca della “Foto Perfetta” rischiamo di dimenticare che la fotografia, intesa come arte figurativa, deve esprimere ed emozionare, perchè altrimenti può interessare solo al suo autore, mai a qualcun altro. Se una fotografia non comunica nulla, non interesserà a nessuno: l'immagine dell'auto  che entra in zona pedonale, anche se perfetta, interesserà solo il vigile che mi spedirà la contravvenzione, ma dubito fortemente possa emozionarlo.
Un po’ come le attrici superliftate: bamboline perfette, ma difficilmente fanno provare emozioni. Per capirci, l’ultima Nicole Kidman: troppo pulita, troppo pettinata. Irreale come donna, irreali le foto che la ritraggono, sembra di tornare al liceo quando le suggestioni della filosofia insegnavano a considerare, complice Platone, le immagini come archetipi. 
Il fatto è che la foto perfetta descrive una realtà interessante perchè ci mostra quello che normalmente non è accessibile ai nostri sensi: per questo la guardiamo, per questo ci stupisce e ci interessa. Come di fronte alle cartoline delle nostre città, altre rispetto ai cieli perennemente azzurri, ai tramonti infuocati, alle acque azzurre dei corsi d’acqua che le attraversano.

L’emozione è un'altra cosa. 
Non attiene alla sfera della conoscenza, ma a quella dei sentimenti e dell'esperienza. Alla vita nella sua essenza. Guardando una foto, si ammira più di una semplice visuale, molto più delle forme e dei colori. La bellezza è altrove, è fondamentale, è istintivamente fondamentale. E' relativa al tempo, a quell’ istante reso immortale, il bacio parigino di Doisneau, il miliziano di Capa  sono momento incisi per l’eternità. La domanda da porsi è: perchè quell’ istante li, e non quello dopo, o quello prima… Ma questa è stata la decisione del fotografo.
Non sempre perfezione ed emozione vanno d'accordo, è un fatto. Ma forse è la definizione stessa ad essere sbagliata: semplicemente una foto perfetta non è necessariamente una immagine dal contrasto equilibrato che ci restituisce dovizia di particolari e che rispetta la regola dei terzi. Forse, a pensarci bene, non si può nemmeno dare una definizione di foto perfetta, perchè un'immagine fotografica, come un quadro, suscita un'emozione che non è misurabile ed è diversa per ciascuno, e allora ben vengano le regole di composizione, ben venga la tecnologia a darci una mano a scattare fotografie più equilibrate, a restituirci colori più puliti. Ma non dimentichiamo che tutte queste cose ci devono servire per trasmettere emozioni, e allora una foto è "perfetta" solo quando suscita un'emozione in molte persone. E' una definizione debole, ma è tutto quello che davvero si può dire.
Quando mi dilettavo e frequentavo un circolo, mi dava ai nervi sentirmi chiedere di tempi, diaframmi, ottiche usate, quando la massima soddisfazione era sentir dire “che bella!” di una foto magari sgranata, pure un po’ mossa, ma che restituiva la bellezza naturale di cui Madre Natura è capace nelle sue inesauribili forme.  Chè poi, pensiero finale, a rifletterci, solo la fotografia, tra tutte le discipline artistiche, è capace di materializzare i sentimenti dell’artista: più della stessa pittura, che richiede una tecnica per molti inavvicinabile. Più della scultura, che non può prescindere da una grande manualità. Dato che nessun pennello, nessuno scalpello, nessun attrezzo può essere più veloce dell’otturatore: e nella frazione di secondo che passa tra la pressione dell’indice e l’eternità ci rientrano bene o male le storie personali, la sensibilità, il gusto, la cultura, le emozioni, l'educazione, perchè no l'umore e lo stato d'anima di chi scatta. Ed è questo tempo brevissimo, un chiodo a fissare uno scorcio di immortalità, che “fa” la bellezza di una foto: una bellezza che non si ritrova da nessun’altra parte. 

8.5.12

A reti unificate

Non conosco i dettagli della discussione, il "casus belli", ragion per cui non ci entrerò neppure: ma aderisco con piacere ad una iniziativa-manifesto sulla diversità: di idee, di opinioni, di interpretazioni. Lo faccio ricorrendo ad una delle "101 storie Zen" di Adelphi Editore. 
Illuminante.
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26. Dialogo commerciale per avere alloggio

Qualunque monaco girovago può fermarsi in un tempio Zen, a patto che sostenga coi preti del posto una discussione sul Buddhismo e ne esca vittorioso. Se invece perde, deve andarsene via.
In un tempio nelle regioni settentrionali del Giappone vivevano due confratelli monaci. 
Il più anziano era istruito, ma il più giovane era sciocco e aveva un occhio solo.
Arrivò un monaco girovago e chiese alloggio, invitandoli secondo la norma a un dibattito sulla sublime dottrina. Il fratello più anziano, che quel giorno era affaticato dal molto studio, disse al più giovane di sostituirlo. «Vai tu e chiedigli il dialogo muto» lo ammonì.
Così il monaco giovane e il forestiero andarono a sedersi nel tempio.
Poco dopo il viaggiatore venne a cercare il fratello più anziano e gli disse: «Il tuo giovane fratello è un tipo straordinario. Mi ha battuto».
«Riferiscimi il vostro dialogo» disse il più anziano.
«Beh,» spiegò il viaggiatore «per prima cosa io ho alzato un dito, che rappresentava Buddha, l'Illuminato. E lui ha alzato due dita, per dire Buddha e il suo insegnamento. Io ho alzato tre dita per rappresentare Buddha, il suo insegnamento e i suoi seguaci, che vivono la vita armoniosa. Allora lui mi ha scosso il pugno chiuso davanti alla faccia, per mostrarmi che tutti e tre derivano da una sola realizzazione. Sicché ha vinto e io non ho nessun diritto di fermarmi». E detto questo, il girovago se ne andò.
«Dov'è quel tale?» domandò il più giovane, correndo dal fratello più anziano.
«Ho saputo che hai vinto il dibattito».
«Io non ho vinto un bel niente. Voglio picchiare quell'individuo».
«Raccontami la vostra discussione» lo pregò il più anziano.
«Accidenti, non appena mi ha visto lui ha alzato un dito, insultandomi con l'allusione che ho un occhio solo. Dal momento che era un forestiero, ho pensato che dovevo essere cortese con lui e ho alzato due dita, congratulandomi che avesse due occhi. Poi quel miserabile villano ha alzato tre dita per dire che tra tutti e due avevamo soltanto tre occhi. Allora ho perso la tramontana e sono balzato in piedi per dargli un pugno, ma lui è scappato via e così è finita».

4.5.12

Ne(cro)tiquette

Avevo già parlato, tempo fa, delle discussioni che avvengono, tra quei quattro o cinque (io, ovviamente, sono sempre l' "o cinque") personaggi che di mattina si trovano alla stessa ora a prendere il caffè nel nostro bar interno dando luogo a convegni flash in cui si discute di tutto senza arrivare poi a conclusioni certe, peraltro. 
E stamattina, mentre mi lambiccavo il cervello su cosa scrivere qui, è arrivato immediato lo spunto. Non occorre certo una laurea, neppure se conseguita in Albania, per afferrare al volo certi stimoli. L'argomento, affrontato con la consueta perizia di cui solo un consesso di esauriti scafati navigatori è capace, era il seguente:

"Usi e costumi nell'invio di posta elettronica e sms".

Primo relatore, il "forever young" E., il quale, come tutti i cinquantenni che "frequentano" ragazze molto (anzi, moooltooo) più giovani di lui, sostiene che nelle mail si può sostituire gran parte del testo con faccine et similia, e che negli sms è tanto più comodo usare le k, saltare una qualche virgola -ad onor del vero, anche a sentirlo parlare mi sembra avere più di un problema con le seppur elementari regole grammaticali, ma tant'è- e che nessuno al mondo userebbe una maiuscola in un sms, col rischio di disabilitare il T9 e la perdita di tempo del "tornare indietro".
Quindi, mia obiezione, se rispondi ad una mail non usare il maiuscolo è d'obbligo?

E. afferma che "è perchè il dialogo è iniziato ed è inutile la maiuscola come se si stesse iniziando una relazione". Roba superata, insomma.
Cosa? obietto perplesso, quindi aprire una mail con la lettera maiuscola è "roba da vecchi"? Al massimo, penso che risparmiare quel gesto di mettere e togliere il maiuscolo sia una forma di sciatteria, in cui a volte peraltro anche io cado, quando ho troppa fretta.

A. invece è una accanita sostenitrice della teoria che negli sms ci si debba firmare: anzi, fedele com'è alla forma, la sua tesi è che il maiuscolo ad inizio frase è fondamentale, nulla importa che si tratti di mail, di post o di sms: a scuola ci hanno insegnato  -poi, lei che è una ex prof calca la mano- che ad inizio frase, o dopo un punto, si usa sempre la lettera maiuscola; e quindi con il passaggio alla comunicazione elettronica il mezzo non fa la differenza. La persona corretta scrive sempre in italiano corretto, e questo è fondamentale, perchè le sembra che si sappia scrivere sempre meno.
Mentre la ascolto, ripenso che curiosamente, quando scrivo una mail, tendo ad utilizzare la medesima composizione che usavo per le lettere, magari al posto di "Caro XXX" scrivo "Ciao XXX" e non metto la data, ma al fondo, di solito, firmo anche se scrivo solo la mia iniziale puntata.

Allora, incuriosito dall'argomento, allargo la domanda a tutti quelli che passano da qui: esistono altre regole, più o meno implicite, che riguardano le comunicazioni via sms o via mail o via rete? E, sopratutto, quali possano essere i motivi, dato che "mi sono fatto persuaso" che alla fine della corsa sia un po' la pigrizia, un po' l'abitudine, spesso la mancanza di rispetto verso persone e regole a giustificare determinate norme ed usi nella comunicazione digitale.
Tutto deve essere fatto nel più breve tempo possibile, tornare indietro per mettere una lettera Maiuscola  o scrivere un "ch" come si deve viene ritenuto una fatica inutile.

Oppure mi sbaglio?

Ecco, vorrei avere delle opinioni anche le più svariate, in merito: alla fine, per motivi anagrafici non sono un nativo digitale, sono solo un adottato (o più probabilmente dis-adottato....)