22.12.11

Il tacchino di Natale

di Achille Campanile (in "Manuale di conversazione" - Rizzoli 1973)
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Il tacchino va bene per il Natale, 
ma il Natale non va bene per il tacchino. 
(Proverbio inesistente)


"I gesuiti, peropinione generale, introdussero il tacchino in Francia". 
Questa, in termini concisi, direi addirittura secchi, la notizia nuda e crudatramandataci dalla storia. 
Intanto sul fatto che sia opinione generale, ho i miei dubbi. Per conto mio nonho nessuna opinione in proposito. Ho trovato l'asserzione nell'opera "Gliuccelli" di Figuer e per controllarla ho interrogato amici e conoscenti,su chi avrebbe introdotto il tacchino in Francia. Tutti, senza eccezione, sisono dichiarati incompetenti a rispondere. Perfino i cuochi. 
Comunque, diamo per buona la notizia. Da essa balzano anzitutto alcuniinterrogativi: come mai i gesuiti introdussero il tacchino in Francia? cherapporti avevano quei religiosi con questo animale? e come mai, prima d'esserviintrodotto dai gesuiti, il tacchino non era mai entrato sul suolo della nostrasorella latina? Dire per mancanza di passaporto, sarebbe voler scherzare. Comelo sarebbe dire che non vi erano ammessi i tacchini, perché è la terra deiGalli. 
Piuttosto, c'era forse qualche rete protettiva lungo i confini della Francia,appunto per impedire che il tacchino sconfinasse abusivamente? 
In qualunque modo si sia svolta la faccenda, immaginiamo la scena a cui alludela storia. Siamo presso il confine francese. Confine colla Svizzera, collaSpagna, colla Germania o il Belgio? Oppure con l'Italia? 
Questo, la storia non lo dice, ma la differenza conta. Voi capite che, se iltacchino entrò dalla Germania o dal Belgio, forse era accompagnato da fegatograsso tartufato, e quasi certamente da patate e da cavoli. Laddove, se laSpagna fosse stato il luogo di provenienza, il suo corteggio sarebbe stato abase di pomodori o di peperoni. Innaffiato da vino, se proveniente dal Sud odall'Ovest; da birra, se da paesi fiamminghi. 
Dunque, sarebbe importante sapere da dove fu fatto il colpo. 

Escludiamol'Italia, in quanto resterebbe poi da sapere da chi e come il tacchino fossestato introdotto presso di noi. Ci sarebbero gli altri paesi. 
Immaginiamo la Spagna; i Pirenei. Zona di contrabbandieri che ben si adatta aun colpo di mano del genere e da all'impresa un colore romanzesco, uso Carmen.E' notte. Fischia il vento fra quelle gole selvagge. I gesuiti, che si sonoproposti d'introdurre questo animale da cortile in Francia, cercano di farglipassare la frontiera spingendolo con giunchi, stuzzicandolo perché cammini. Iltacchino pettoruto incede e, dietro, la schiera dei religiosi. 
Ora, due sono le ipotesi: l'introduzione del tacchino avvenne palesemente oclandestinamente, visto che si trattava d'un animale ancora ignoto in Francia? 
Nella prima ipotesi bisogna immaginare l'arrivo al posto di frontiera. Idoganieri vedono lo strano animale in compagnia d'una compagnia di gesuiti.Qualcuno ha un piccolo moto di timore. 
"E questo che cos'è ?"
"Il tacchino."
"A che serve ?"
"A farlo arrosto"
"Ohibò!"
"E' ottimo a Natale e a Capodanno."
"Bè, passi, allora."
Nella seconda ipotesi, bisogna immaginare i gesuiti che aspettano il calardella notte e indi s'avventurano a passar la frontiera clandestinamente conl'animale di contrabbando. Quante peripezie, quanti patemi, prima d'arrivare almal passo! E finalmente, zitti!, ci siamo. In punta di piedi i gesuiti, fra legole dei monti, passano in fila indiana, spingendosi avanti il tacchino. Nonera prudente lasciarlo indietro, visto che poteva sperdersi o essere acciuffatoda qualche malintenzionato. Proprio a un passo dalla frontiera la bestiaccia,manco a farlo apposta, si mette a fare: glu glu glu... 
Maledetto. I religiosi cercano di tappargli il becco. Cosa non facile. Ma sì!Quello starnazza. Rimbombano nelle tenebre notturne tre o quattro spari, igendarmi confinari sono in allarme, s'odono di qua, di la, passi concitati nelbuio, grida di "Chi va là ?". I gesuiti, immobili nelle tenebre,trattengono il respiro. Uno s'è ficcato sotto la tonaca il maledetto gallinaceoe gli tiene la testa avvolta nella gonna, perché non s'oda. Il tacchino sidibatte, ma viene trattenuto. Finalmente, torna la calma. Il pericolo èpassato. In punta di piedi, i gesuiti riprendono il cammino, col tacchinoavvolto in panni, a rischio di soffocarlo. 
Sia lodato il cielo, la linea è superata. Siamo in terra di Francia. I gesuitilasciano libero l'animale e proseguono liberi, felici. 

Il tacchino èstato introdotto in suolo francese, nella terra della libertà, dove l'attendela padella. 
Ma forse, tutto questo non è che fantasia. Forse l'introduzione avvenne viamare, più probabilmente, poiché credo che il tacchino provenisse dall'America eche in Europa fosse ancora ignoto. 
Doveva essere il Sei o il Settecento. L'epoca dei galeoni, dei pirati, deitesori nascosti nelle isole disabitate. Allora viaggiare per mare eraun'avventura. 
Quante peripezie nella lunga traversata, durante la quale più voltel'incolumità del gallinaceo dovett'essere messa in pericolo dalle tempeste,dalle sollevazioni di un equipaggio poco docile e soprattutto dalloscarseggiare delle vettovaglie. Per tacere delle occulte e subdole mire delcapitano in persona, desideroso magari d'offrire un pranzetto en tete a tete aqualche bella passeggera avventurosa, uso Manon Lescaut.
Mancavano i viveri a bordo. Equipaggio e passeggeri, deportati e deportate,languivano famelici nelle stive, fra tutte quelle lanterne, fra quelle botti,quei barili, quelle botole, scale, scalette, gambe di legno, e quegl'ingombrid'ogni specie che rendevano oltremodo difficile la circolazione sulle navid'una volta e che, dopo alcuni secoli, dovevano rivelarsi provvidenziali pergli autori dei film di pirateria e filibusteria. 
Il capitano sa che c'è a bordo, chiuso in una gabbia, il misterioso pennuto.Un'occhiata d'intesa al cuoco, quasi certamente cinese. Un lampo di rispostasinistro, nello sguardo di questo. E appena cala la notte, malgrado la presenzaa bordo di alcuni misteriosi personaggi - possibilmente con almeno una gamba dilegno - un'ombra armata di coltello scivola nelle tenebre verso la stiva, sicala nel boccaporto. 
Un attimo d'attesa e subito uno starnazzare d'ali e un gorgoglio disperato,strozzato immediatamente. Il colpo e fatto. Tra poco nella cabina del comandosarà straziante e splendido vedere la salma del tacchino dorata dal forno,stesa immobile supina fra quattro candele, esalante quel profumo appetitoso,sulla tavola del capitano riccamente imbandita. E la bella deportata cederà leproprie grazie in cambio d'una dorata fetta del saporito gallinaceo. Eh, sipotrebbe scrivere un romanzo sulla traversata oceanica del tacchino! Un romanzonel quale converrebbe dare il debito posto anche alle proteste dei gesuiti, ailoro mille sottili artifizi per salvare il pennuto dal coltellaccio dellacucina e portarlo sano e salvo in Francia. 
Dove evidentemente avevano intenzione di fargli fare la stessa fine, altrimentinon si spiegherebbe tutta la loro smania d'introdurlo nel vecchio mondo. 

Ma,ora che ci penso, perché ciò potesse avvenire, come avvenne, occorre chel'episodio della traversata oceanica relativo al pranzo offerto dal capitanoalla bella deportata, a base di tacchino arrosto, si concluda in sensosfavorevole alle mire del capitano stesso, e' che il tacchino, per qualchedrammatico avvenimento che potrebbe dar materia ad un interessante capitolo,sfugga al coltello del cuoco cinese. 
Allora, sorvoliamo su tutto ciò, per arrivare subito alla banchina del porto diLe Havre o di Marsiglia. E una mattina d'inverno nebbiosa e triste. Da qualcheminuto è arrivato il pacchebotto d'oltre oceano e si sta procedendo alleoperazioni di sbarco. Una compagnia di gesuiti s'appresta a scendere lascaletta, tutti stretti l'uno all'altro, come per nascondere qualcosa. Ildoganiere li conta, controllando il registro di bordo:
uno... due... tre... Si, sono tutti, non ne manca e non ne cresce nessuno. 
Avanti. I gesuiti passano. Nel momento cruciale, proprio sotto gli occhi delcontrollore, s'ode un improvviso glu-glu soffocato. 
Che è? Chi è stato? Il doganiere guarda il gruppo con aria sospettosa. Nonconosce ancora il tacchino, non sa che quello è il suo verso. Crede si trattid'uno sberleffo. Fissa severo i religiosi, che passano seri, un poco pallidi. 
L'hanno scampata bella. Ma tutto è bene quel che finisce bene. Orafortunatamente il pericolo è  passato, il tacchino è in Francia, cioè inEuropa, e comincia per lui la sua seconda vita: la fulgida era in cui verràsempre più onorato nell'intiero vecchio mondo, oltre che nel nuovo, a Natale ea Capodanno. 
Certo, dovett'esserci anche un che di gesuitesco, nell'introduzione. Forse essaavvenne mercè qualche sottile accorgimento. Forse si finse d'introdurre altro,magari un semplice gallinaccio, un cappone. Forse si spacciò  il tacchinoper un grosso colombo. O per una delle aquile romane, di ritorno. 
Ma qui mi viene il dubbio che l'eroe della nostra storia sia stato introdottoarrosto. In questo caso ci sarebbe tutto da rifare, circa le scene 
immaginate. Come riuscirono a passare, i gesuiti, con la teglia calda e il suoprofumato contenuto? E dove e come avevano cucinato l'animale, non prima vistoda altri? 
Interrogativi che attendono risposta. Ma l'essenziale è che ora esso c'è e ciresterà. 
E non rimane che fargli quella festa che merita.


19.12.11

Un anno di spot


24.12.2010.«Il 2011 sarà l'anno della ripresa» (Silvio Berlusconi).

12.1.2011. «L'ipotesi di una nuova manovra correttiva in Italia è irrealistica. Non c'è nessuna necessità di farlo, e ad oggi non c'è alcun rischio di questo tipo» (Silvio Berlusconi).

8.4.2011. «Mai saputo niente» (Giulio Tremonti, in risposta a chi gli chiedeva di una possibile manovra di correzione dei conti per giugno).

13.4.2011. «Non abbiamo emergenze o urgenze. Fare un drammatico intervento su 2011? È una visione pessimistica. Noi abbiamo per obiettivo il pareggio 2013-2014 e in funzione di quello dobbiamo fare calcoli e conti. Escludo lacrime e sangue» (Giulio Tremonti).

29.4.2011. «L'Italia ha messo alle proprie spalle il picco della crisi meglio degli altri paesi europei. L'Italia è riuscita a superare il punto critico della crisi economica internazionale ottenendo anche la fiducia dei mercati. Abbiamo realizzato una vera e propria mission impossible: e l'abbiamo fatto senza mettere mai le mani nelle tasche degli italiani» (Silvio Berlusconi).

4.5.2011. «Non è prevista nessuna manovra correttiva sui conti pubblici per il 2011» (Luigi Casero, sottosegretario al Tesoro).

5.5.2011. «Il mio vocabolario è abbastanza ristretto, manovra è una parola che non capisco...» (Silvio Berlusconi, rispondendo con una battuta a chi gli domandava se fosse in vista una manovra correttiva).

5.5.2011. «Non è così» (Silvio Berlusconi, in risposta a chi gli chiedeva, a Porta a Porta, della necessità di una manovra da 40 miliardi per il pareggio di bilancio).

9.6.2011. «Quest'anno faremo un'opera di manutenzione di qualche miliardo, tre miliardi. Faremo nei prossimi anni quello che abbiamo già fatto negli anni precedenti. Non si tratta di nulla di preoccupante. [In totale] Non sono 33 miliardi per niente, state tranquilli, inutile andare a preoccupare i cittadini per cose che non sono vere, andremo avanti con uno 0,7-0,8 di Pil, non c'è da preoccuparsi» (Silvio Berlusconi).

14.6.2011. «Quello che abbiamo già fatto è sufficiente» (Giulio Tremonti, su una eventuale correzione dei conti pubblici per il 2011 e 2012).

16.6.2011. «Abbiamo le idee chiare e non siamo preoccupati dell'impatto che [la manovra] potrà avere sull'opinione pubblica» (Silvio Berlusconi).

24.6.2011. «La manovra non avrà una cifra molto elevata» (Silvio Berlusconi).

26.6.2011. «Tutti gli organismi internazionali di controllo hanno dato dei pareri molto positivi sulla nostra attività di governo, hanno riconosciuto che nei primi tre anni di governo abbiamo operato al meglio e abbiamo posto i conti pubblici in sicurezza, al riparo dagli attacchi della speculazione internazionale» (Silvio Berlusconi).

30.6.2011. «Il popolo italiano capisce. La sua richiesta è quella di essere rigorosi e seri. La gente è molto favorevole a questa disciplina» (Giulio Tremonti).

30.6.2011. «Siamo stati ligi a non mettere le mani in tasca agli italiani ma qualche 'cosina' la abbiamo pensata, ma sono cose di pochissimo conto: pensavamo, per esempio, di eliminare il bollo auto ma ci sembrava logico che per grandi auto si potesse fare una piccola aggiunta» (Silvio Berlusconi).

7.7.2011. «L'ho annunciato io stesso in conferenza stampa, il governo è assolutamente aperto a modifiche durante l'iter parlamentare senza però che sia modificato il saldo finale» (Silvio Berlusconi; il saldo in realtà è lievitato, da allora, da 50 miliardi a 87,7).

3.8.2011. «Il nostro Paese è solido. Abbiamo fondamentali economici solidi. Le nostre banche hanno superato gli stress test europei mentre ovunque è aumentata l'incertezza. (…) l'evoluzione dei conti pubblici è più favorevole che in altri Paesi avanzati. Grazie alla azione di finanza pubblica del nostro governo, i conti sono migliorati e abbiamo un deficit di bilancio meno ampio di quanto indicato (5%) e comunque più basso di altri paesi area europea» (Silvio Berlusconi).

9.9.2011 «noi abbiamo una Stato indebitato ma dei cittadini benestanti ecco perché l'Italia è all'ultimo posto in Europa per il debito pubblico, ma diventiamo il secondo Paese in Europa per solidità e benessere dopo la Germania se facciamo l'aggregazione del debito pubblico con quello privato» (Silvio Berlusconi).

20.9.2011. «Le decisioni dell'agenzia sembrano dettate più dai retroscena dei quotidiani che dalla realtà delle cose e appaiono viziate da considerazioni politiche» (Silvio Berlusconi, alla notizia che S&P taglia il rating sulla capacità dello Stato di far fronte al debito).

4.10.2011 «L'Italia è tra i pochissimi paesi al mondo che ha un avanzo primario. L'avanzo primario cresce. Noi siamo in controtendenza - è il doppio della Germania, mentre nel caso della Spagna potrebbe dipendere dall'annuncio di nuove elezioni» (Giulio Tremonti, quando per la prima volta nella storia dell’euro lo spread italiano supera quello spagnolo)

4.11.2011. «Mi sembra che in Italia non ci sia una forte crisi. La vita è la vita di un Paese benestante, i consumi non sono diminuiti, per gli aerei si riesce a fatica a prenotare un posto, i ristoranti sono pieni» (Silvio Berlusconi).
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Tanto per non scordare......



14.12.11


Due erano lepassioni che avevo sin da piccolo: il cielo stellato e la bicicletta. Atestimonianza della seconda, il fatto di aver passato il primo venti per centodella mia esistenza con le ginocchia perennemente sbucciate; a ricordo dellaseconda, il fatto di voler sempre andare in macchina con un mio zio, fratellodi mio padre particolarmente dandy, e felice possessore di Giulietta Spiderprima, e Fiat 124 Spider poi. 
Gli altri si affezionavano al vento, io a guardare il cielo.
Quindi, due domeniche fa, provate ad immaginare l’emozione di poter incontraredal vivo Margherita Hack: l’occasione, un incontro in una libreria cittadinaper presentare il suo libro “La mia vita in bicicletta” (Ediciclo). “Un lungoviaggio su due ruote attraverso i grandi eventi del Novecento”, recita lafascetta.
Ma lei è molto di più che una grande astrofisica, o di una scafata ciclistaquasi novantenne: lei COMUNICA. E’ una grande affabulatrice, sa come attirare l’attenzionee la si ascolta in silenzio, incantati,  come astraendosi da una realtà che non siaquella del suo narrare. Per dire, ha esordito affermando di aver “preferito oggi spostarsi a cavallo di unneutrino, lungo il tunnel della Gelmini”, ed ha proseguito ripercorrendo lasua vita con immancabile ironia toscana, e sempre tenendo presente il legamecon lo sport e con la bicicletta in particolare. Dal primo monopattino senzafreni alla bicicletta da corsa, dalle instancabili pedalate fino al LiceoClassico Galileo di Firenze a quelle per andare all’osservatorio di Arcetri, lasua vita privata e professionale con la bicicletta come punto di riferimento.Al punto da avvalersene anche per un’efficace ulteriore dimostrazione delletesi di Galileo, in occasione di un volo in bicicletta conclusosi con unaricaduta in sella: “non è stata fortuna ,è stata la Fisica: facevo parte del sistema-bicicletta come si fa parte delsistema-terra mentre il nostro pianeta gira”. Ma la passione per labicicletta è anche il ricordo degli anni della scuola, “il disagio di arrivare tutta scarruffata di fronte alle ragazze benvestite della borghesia fiorentina”, e soprattutto l’amore per Aldo, ilcompagno di tutta una vita, anche quella sera in prima fila. E poi, labocciatura in matematica, l’esame di maturità evitato per lo scoppio dellaseconda guerra mondiale, la scelta dell’antifascismo di fronte all’espulsionedella professoressa di scienze perché ebrea, l’iscrizione alla Facoltà diLettere -durata un’ora-  e quindi lascelta definitiva della Facoltà di Fisica.

Iltutto raccontato con la sua spietata lucidità ed ineguagliabile sarcasmo, nelcolpire gli inganni e le assurdità tanto del passato quanto del presente. Ancheriguardo all’attualità ha le idee ben chiare: dal sistema universitario, cheforse “non è del tutto marcio, ma è certopenalizzato da una miriade di piccole università di serie B”, all’energianucleare “che va investigata puntandoalla trasformazione di idrogeno in elio come accade nelle stelle”, alprogresso della conoscenza, che ci rivela “comenon siamo poi così piccoli, se in due secoli abbiamo scoperto tanto guardandoquelle lucine”. Riguardo poi alla politica di oggi, l’astrofisica sembrapiuttosto fiduciosa: “oggi c’è un governodove la gente sa leggere e scrivere e far di conto, magari le cose cambieranno”.
Allafine, si è soffermata a lungo a con noi “encantados”, un po’ per firmare lecopie del suo libro, un po’ beccandosi col pazientissimo consorte  [“ ‘unl’ha ancora capito che certe cose le si possono fare solo da vivi”], un po’a ridacchiare con un paio di sue ex allieve.
Uscitidalla libreria, vedere l’umanità varia intenta a spendere sulle bancarellenatalizie mi ha fatto quasi impressione: ho alzato gli occhi al cielo, c’èsempre da imparare.
Nonso perché, ma ho sorriso.

10.12.11

A quatre pas d’Ici

Stamattina, mentre trafficavo con statuette, capanna, muschio cinese, sangiuseppe che assomiglia ad uno dei Pooh, ecc.ecc. , mentre ripensavo alle polemiche di questi giorni sulla esenzione dall’Ici per le attivita’ di culto e quelle di assistenza sociale, oltre che per le attivita’ commerciali svolte da enti e realtà riconducibili alla Chiesa Cattolica, mi è balenata un’idea: facendo il Presepe, sono esente anch’io, adesso che il governo Monti reintroduce l’imposta, dall'ICI? 
Mi impegno a tenerlo tutto l'anno, ed in più sto facendo anche un'opera di carità e beneficenza mantenendo i miei figli ed un gatto. Dò loro ospitalità gratuita, li vesto, provvedo alle loro necessità quotidiane e somministro loro gratuitamente pure tre pasti al giorno. Inoltre non nego bevande calde e generi di conforto agli amici dei miei figli, alle amiche di mia moglie, sintonizzo i televisori di mezzo condominio, aiuto parenti e conoscenti degli stessi, nonchè i rispettivi vicini di casa, nelle pratiche burocratiche, dò consigli finanziari, tutto rigorosamente gratis.
Credo che basti per configurare casa mia come luogo di culto ed ente caritatevole. Praticamente sono una onlus: dovrei detassare il mio stipendio.
Allora telefono alla commercialista, e sulla base di queste considerazioni, le chiedo: posso esimermi dal pagare l'Ici? Posso avere qualche altra agevolazione? Posso richiedere il 5x1000? Mi impegno a sostituire le varie musichette natalizie lasciando acceso tutto il giorno su Radio Maria.
Risposta acidula della stessa: "La capanna del presepio in casa va considerata come pertinenza dell’abitazione, pertanto tassata come seconda casa". Poi, non paga di aver umiliato il mio sentito credere: "Dove hai comprato l'asinello?  Hai pagato in contanti?  Avevano il POS rotto? Ricordati di accatastare il bue e l'asinello e ricordati che pagano la tarsu in funzione della spazzatura che producono".
E poi dice che uno si butta a sinistra.

8.12.11

La veste dei fantasmi del passato

[Durante la importazione dei vecchi post, ho sbattuto la faccia su questo, che secondo WP è stato quello più letto in assoluto nella storia del fiume. Lo ripropongo perchè ogni tanto tornare sui propri passi non è solo un esercizio o una vanità, ma un sottile senso del sentirsi vivi]
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“Stiamo servendo il numero…sessantaaaaa!”
La voce fredda, robotica, vorrebbe avere parvenza femminile, ma di una donna così se ne farebbe, credo, volentieri a meno. Guardo il mio tagliandino, diciotto numeri più in là, non diciotto persone, come minimo, in fila.
Numeri.
Persone è un concetto che finisce come quel pane indurito nella grattuggia della signora con cappellino similpelle che vuole, appunto, “tre etti di pane grattato”.
Mi guardo in giro, mentre la calcolatrice mentale considera che al ritmo di un numero ogni due minuti diviso tre commesse ecc.ecc.
“Mo valà..pretendi che io ti creda?”La voce è calda, stavolta. Arrabbiata, fino al confine del rauco. Di femminile non c’è solo lei: ci sono i riccioli biondi che spuntano dalla cuffietta con ponpon, c’è il profilo delicato, ci sono questi occhi grandi che la telefonata sta rendendo acquosi.
Se lui la vedesse, anziché rantolare scuse al telefono, non potrebbe non capire e, di conseguenza, fare altro che vergognarsi.
La guardo, la sua altezza, impreziosita da stivali col tacco, mi fa pensare a quanto il concetto di bambolina a volte non sia solo un modo di dire.
“Ed era il caso? Ma allora sei proprio ciordo*”Si, sconosciuta vicina in fila, lo è. Lo è per forza. Perchè il verde dei tuoi occhi è troppo trasparente per nascondere qualcosa, ed in te si legge l’innamorata delusa.“…settantasette…”
Passa il tempo senza accorgertene, quando ti impicci degli affari degli altri. Mentalmente ripasso la quantità di pane da prendere, valutando che la domenica non sarà un raddoppio del solito e che comunque a casa mi aspetterà il solito “potevi, non potevi, tanto c’è, tanto non c’è”. Va bene, va bene lo stesso.
“..io non ti chiamo più, t’arrangi..”Va bene, bambolina, anche se l’istinto mi dice che non sarai sincera fino in fondo verso te stessa.
Raccolgo il mio sacchetto, il profumo mi piace, mi piace proprio, ed il calore che trasuda dalla carta è come minimo piacevole.
Come è piacevole, dopo, vedere gli occhi del ragazzo che presta amorevole cura al nastro grosso con cui la commessa gli sta avvolgendo la scatola di cioccolatini. E quando la penna scrive sul biglietto “alla mia Lei speciale” capisci che è sincero.
E che non puo’ essere che vero.
E che se al sabato mattina verro’ ancora qui a comperare il pane, non è detto che sia solo perchè si risparmia.
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*ciordo= termine dialettale per indicare uno stupido.

5.12.11

Invisible touch


Unodei grandi miti dell’umanità è, da sempre, quello dell’invisibilità. Romanzi,film, saghe, leggende, fumetti, insomma di tutto e di più. Non essendo riuscitia far diventare l’invisibilità, almeno per ora, una tecnologia di massa, una diquelle cose che fa figo (insomma, nonc’è per ora uno Steve Jobs a presentare un i-Nvisible)c’è chi ha cercato un surrogato. Per gli automobilisti il surrogato è nascosto(ma neppure troppo) in quel tastino che abbiamo a disposizione, quello consopra tanti triangolini uno dentro l'altro, grazie al quale le frecce davanti ele frecce dietro lampeggiano contemporaneamente: le cd. Quattrofrecce.
Pensateche storia: al guerriero tutto bardato ed armato che con voce roboante chiama “Excalibur”,l’ometto insignificante che è in noi alza le spallucce ed obietta, con un certosuccesso “ecchemefreegaame? Tanto ci hole Quattrofrecce, io”.
Inventatein Germania, non a caso la terra dei Nibelunghi, fino agli anni Ottanta  erano totalmente sconosciute in Italia: almassimo le notavi con curiosità sulle macchine  di qualche turista in Rivera Adriatica, masolo se era notte fonda, la Mercedes era rimasta sul ciglio della strada, colcofano fumante, almeno tre ruote a terra, la marmitta persa duecento metriprima e gli occupanti che sporgevano dagli sportelli aperti a vomitare anche l’anima.Il tutto in un giorno di tempesta.
Mail genio italico, una volta arrivata l’arma micidiale anche sulle nostremacchinette, ha saputo, e potuto, di più: fino a farle diventare, appunto, ilsurrogato alla invisibilità di cui sopra. Non c’è nessun problema: dovete portarei pupi a scuola, e non c’è un buco libero per metri e metri (già, perché lasciareil pupo, foss’anche un bestione di un metro ed ottanta, a fare venti metri apiedi è grave pregiudizio per la salute e per l’onore)? Bene, occupate lafermata del tram, pulsantino magico, et voilà: nessuno potrà mai dirvi niente,tanto ci avete le quattrofrecce, voi.
Dovete,la domenica, comperare un cabaret di paste nella prestigiosa pasticceria che lavora così bene e che la crema come loro, e quelle alla frutta,poi? Nessun problema: dato che i vostri gusti sono in media con quellidella maggioranza di chi alla stessa ora nello stesso punto ha la stessaesigenza, mentre altri si scannano per contendersi un sospirato posto nellestrisce, voi lasciate la fiera scudiera con le Quattrofrecce aizzate, e nessunopuò permettersi di obiettare: in fin dei conti, vi sacrificate per la vostrafamiglia, e si sa che a parlare di famiglia dalle nostre parti si colpiscesempre al cuore misericordioso del prossimo.
Chèpoi, anche linguisticamente (e le parole, si sa, sono macigni) la cosa ci statutta: i libretti le chiamano luci di emergenza, e lo dice la parola stessa: emergenza, quindi qualcosa che emerge.Un’idea, un’esigenza, una paura: ad esempio, quella di tornare a casa senzaessere passati dalla lavanderia a ritirare quel tal capo della vostra sposa cheve lo ha ricordato telefonicamente e che voi, con aria sufficientementespavalda, avete liquidato col più convinto dei ci penso IO quando passo e che, ovviamente, avevate non pensato.Ovviamente, dall’unica lavanderia sulla strada, in prossimità di incrociosemaforico ai cui quattro angoli ci stanno la lavanderia stessa, il barbiere,il negozio di telefonini ed il panettiere: ma senza le Quattro, come faremmo?
C’èun solo, unico grande limite: che, in base al principio nazionale del cca nisciuno è fesso, tutti sappiamousare l’arma micidiale, e ne riconosciamo al volo l’uso altrui: e dato che nonè matematicamente possibile avere un popolo di tutti furbi, è assai più facilepensare che credendoci in massa tali, non ci si accorga, tutti, di essere, allafine, un po’ coglioncelli. 

1.12.11

Campanilismi

Qualche giorno fa, Akio, nel suo diario "A video spento", miniera di letture e riflessioni, ha citato un brano di Achille Campanile, vero e proprio Padre Nobile dell'umorismo e dell'ironia: qualunque libro suo è una fonte inesauribile di attrazione, intelligenza, divertimento.Esiste un sito a lui dedicato, una specie di buona cantina da cui il palato esce sempre soddisfatto ed appagato. Da lì, copio questa pagina dedicata al "famigerato" romanzo "Cuore" di De Amicis, una lettura che rasenta quasi l'horror in generale, e che nella critica di Campanile diventa uno di quei libri da leggere con una mano sola, l'altra essendo impegnata in gesti apotropaici. Buona lettura, quindi: un po' lunghetta, ma vale tutta fino in fondo, non escludendo le virgole.
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Le disgrazie di De Amicis non sono finite. L'ultima gli ècapitata alla TV, dove in un dibattito pare che qualcuno abbia parlato male dilui. Dico pare, perché ho letto lettere di protesta nei giornali. È un fattoche molto alla leggera oggi si stronca tutto quello che è passato.E in «Cuore» è molto facile trovare frasi che, scritte per commuovere, da parecchi annifanno sorridere e magari ridere. Quel mondo è una specie di Cottolengo, in cui i ragazzi sono pallidini e nonridono mai, molti hanno sempre l'aria spaventata, sembrano malatini, o hannogli occhi buoni e tristi; spesso i padri li battono, molti hanno fame ma nonhanno da mangiare, altri sono laceri e malaticci; le privazioni e le busse liintristiscono; qualcuno ha un braccio morto (perfino i bracci, morti!).

Gli uomini hanno una grande e severa barba nera e anch'essi non ridono mai. Lemaestre sono tutte dimagrate, i maestri hanno tutti qualche pelo bianco di piùnella barba; il maestro di quarta è zoppo, il maestro di ginnastica ha unacicatrice sul collo, il direttore della scuola è tutto vestito di nero(giurerei che è in lutto), sempre abbottonato fin sotto il mento (doveva essereallegro, a vedersi).

Quasi tutti sono o sembrano in lutto. Arriva il sovrintendente scolastico : «un signore con la barba bianca, vestito di nero». Anche il fratello di Enricoè malaticcio. Le madri sono quasi tutte malate. Enrico va a trovare un compagnodi scuola e nella stanza trova la di lui madre in un gran letto, malata, con unfazzoletto bianco intorno al capo: visione quasi spaventosa, che ricorderebbeun po' il lupo di Cappuccetto Rosso, se la situazione non fosse tutt'altra. «Li avete presi i due cucchiarini di siroppo?», le dice il figlio.

Il maestro difende uno scolaro dai compagni che lo malmenano: «Avete schernitoun disgraziato, percosso un debole che non si può difendere!»; non so quantola difesa possa far piacere al malmenato. Uno scolaro «si leva sempre ipeluzzi dai panni» (una classe di maniaci?); un altro cammina con le stampelle,essendo stato investito mentre salvava un compagno da investimento. «Anche lamaestra era triste, oggi»; tanto per far cosa nuova.

Nemmeno i personaggi dei racconti mensili si salvano: la piccola vedettalombarda: «Sono un trovatello!» (e poco manca che non aggiunga: «figlio ditrovatello, discendente da un'antica famiglia di trovatelli»).

Il maestro si ammala gravemente e mandano a sostituirlo un maestro vecchio cheè stato insegnante all'Istituto dei ciechi. La maestra di prima superiore, cosìpallida, e tossisce sempre! (Sta a vedere che muore anche lei). All'ex scolaroche, promosso, va in altra aula, dice con tristezza: «Non ti vedrò più nemmenpassare!». E ha anche una punta di sadismo: «Ha voluto rivedere il letto dovemi vide molto malato due anni fa. Lo ha guardato per un pezzo e non potevaparlare». (Ma è guarito! Capirei fosse morto. Sta benissimo, invece).

Enrico annota: «La scuola, senza il maestro dell' anno scorso, non mi par piùbella come prima». Sai quanto gli pareva bella, con l'altro maestro! Fortunache c'è il nuovo maestro, «con la sua voce grossa ma buona! ».

E il padre d'Enrico! Una specie di Barbariccia del «Corriere dei Piccoli»,sempre in agguato, per interloquire, far prediche, pronunziare frasi dal tonoleggermente sinistro. Fin dal primo giorno di scuola. Un ragazzo è investitodall'omnibus; e lui: «Una disgrazia! L'anno comincia male!». Non è soddisfattodel figlio. Gli scrive lunghe lettere: «Ancora non ti vedo andare a scuola conquel viso ridente che vorrei». È una bella pretesa, che il figlio vada ascuola col viso ridente! Va a curiosare fra le carte del ragazzo, glieleriempie con postille e annotazioni; dove il figlio parla della gioia dellaprima nevicata: «Voi festeggiate l'inverno, ma ci son ragazzi che non hanno né panniné scarpe, né fuoco... Pensate alle migliaia di creature a cui l'inverno portala miseria e la morte». E via, via, con un lungo elenco di disgrazie emiserie. Verissime, purtroppo. Ma il ragazzo non può nemmeno gioire per laprima nevicata. Il padre gli procura il magone.

Certe volte la predica non si basa nemmeno su fatti, ma su semplicisupposizioni: «Il tuo compagno Stardi non si lamenta mai del suo maestro, nesono certo...». E via, con una serie di confronti basati sulla supposizioneche Stardi non si lamenti.

Sempre pronto a intervenire. Ferma il figlio che sta per ripulire la spallieradove il muratorino in visita ha lasciato un'impronta di gesso. Potrebbe poispiegare al figlio: «L'ho fatto perché tu non lo mortificassi», e basta.Invece gli scrive una lunga missiva: «Lo sai figliolo, perché non volli cheripulissi il sofà? Perché il lavoro non insudicia, perché, ecc. ecc, icalli..., la vernice..., la calce..., la pozzolana... ». E pensa a tutto.Quando viene in visita il gobbino, segretamente fa scomparire dalla parete ilquadro che rappresenta Rigoletto, il buffone gobbo, perché l'ospite non loveda. S'immischia, va curiosando. Vede un capannello per la strada: «Cos'èstato?»; sempre per trame motivi d'insegnamento al figliolo.

Spia il figlio perfino dalla finestra. E poi gliene scrive lunghe lettere. Nongli da respiro: «Tu hai urtato una donna. Bada meglio a come cammini. La stradaè la casa di tutti. Tutte le volte che incontri un vecchio cadente, un povero,uno storpio con le stampelle... », e via, via, una lunga lista di persone a cuicedere il passo, sicché c'è da pensare che ben difficilmente il ragazzo potràfare un passo avanti, per la strada. E poi una serie d'incombenze cheassorbiranno completamente il tempo della gita e gl'impediranno di arrivaredove che sia, inchiodandolo al punto di partenza: raccogli il bastone alvecchio che l'ha lasciato cadere, sorreggi il debole che attraversa la strada,soccorri il fanciullo in pericolo, aiuta nelle ricerche chi ha smarrito qualchecosa...

La casistica è completa e particolareggiata: se vedi una persona a cui arrivaaddosso una carrozza, se è un bimbo tiralo via, se è un adulto avvertilo; sedue ragazzi rissano, va' a dividerli; se a rissare sono due adulti,allontanati; se passa un arrestato fra gli agenti, pensa che potrebb'essere uninnocente ingiustamente sospettato; se passa una lettiga d'ospedale, pensa checi potrebb'essere un moribondo; se passa un funerale, pensa che potrebb'esserequello di qualche persona a te cara.

E poi istruzioni e raccomandazioni relative ai ciechi, ai muti, ai rachitici,agli orfani, ai fanciulli abbandonati, a coloro che sono affetti da deformitàrepugnanti o ridicole, ecc. ecc; nessun possibile incontro è trascurato, e, perognuno, una particolare norma circa il modo di regolarsi.

E poi sono contemplati tutti i possibili casi che possano occorrere: spegnisempre ogni fiammifero acceso che trovi sui tuoi passi, che potrebbe costar lavita a qualcuno; rispondi a chi domanda la via; non guardare nessuno ridendo,non correre senza bisogno... Tutto è previsto, il ragazzo non avrà tempo peroccuparsi di nessuna faccenda propria, assorbito come sarà in continuazione dapiccole cure umanitarie; sempre occupato a raccattare cartacce, spegnerfiammiferi, sollevare persone sdrucciolate, divider litiganti, puntellarevecchi malfermi.

Un misto fra il giovane esploratore, il vigile stradale volontario, ilnetturbino dilettante, il pompiere d'occasione, la guida, il cicerone,l'interprete. E alla fine, nella lettera: «Rispetta la strada!». Anche lastrada! E poi: «E studiale, le strade! Studia la città dove vivi. Se domanifossi sbalestrato lontano... il ricordo dei luoghi dove movesti i primi passial fianco di tua madre... le vie dove provasti le prime commozioni...». E via,via; per concludere: «E quando la senti ingiuriare {la città), difendila! ».(Sempre a menar le mani!).
Passano i soldati. Predica sui soldati: «Voi dovete voler bene ai soldati,ragazzi. Sono i nostri difensori, quelli che andrebbero a farsi uccidere pernoi...». Giustissimo. Magari ci sono anche quelli che non andrebbero, sepotessero.
Comunque, oggi queste cose fanno ridere. E magari farebbero ridere anche leosservazioni sulla bandiera. Sulla patria. «Retorica! », si dice. E dellabandiera nessuno si ricorda più. E patria diventa un paese straniero, e perfinonemico. Magari si riverisce la bandiera d'un paese estero, e si irride allapropria. In Italia, beninteso. Che quelli di quegli altri paesi, queste cose lefanno fare e addirittura le esigono dagli altri; ma, per conto proprio, allapatria, alla bandiera (loro) credono.
Perfino durante le ore di lezione, il padre di Enrico, che evidentemente non haaltro da fare, continua ad aggirarsi intorno alla scuola. Scrive al figlio: «Aspettando l'uscita, io giro per le strade silenziose, intorno all'edifizio, eporgo l'orecchio alle finestre del pian terreno, chiuse dalle persiane».L'autentico Barbariccia di Tofano e del signor Bonaventura. «Da una finestrasento la voce d'una maestra che dice: "Ah! quel taglio di t! Non va,figliuol mio! Che ne direbbe tuo padre?" ».
Quanto agli svaghi, le uscite con la mamma sono fatte generalmente per portarbiancheria a donnepovere, o a visitar scolaretti malati. Un giorno, gran festa.Scrive il piccolo Enrico nel suo diario: «Oggi ho fatto vacanza, perché nonstavo bene, e mia madre mi ha condotto con sé all'Istituto dei ragazzirachitici, dov'è andata a raccomandare una bambina del portinaio». Da cui sideduce:
a) che la visita all'Istituto dei ragazzi rachitici è considerato dalla bravasignora una specie di ricostituente per bambini che non stanno bene;
b) che la bimba del portinaio del piccolo Enrico è rachitica. È ancora unapennellatina al quadro di zoppi, storpi, ciechi, gobbini, che circonda ilpiccolo e fortunato Enrico.
La maggior festa dell'anno, però, sembra essere il Giorno dei Morti. È l'unicaa cui è dedicato un capitolo, sotto forma di lettera della madre. Natale,Capodanno, passano sotto silenzio. Un po' di spazio è dedicato al Carnevale, maper farne racconto di disgrazie e oggetto di amare riflessioni. Del resto,questo è nel gusto del tempo. Ricordate il sonetto di Stecchetti: « Quando,lettrice mia, quando vedrai / impazzar per le strade il Carnevale, / oh, nonscordarti, non scordarti mai, / che c'è gente che muore all'ospedale». Unaspecie di promemoria: uno vede impazzar per le strade il Carnevale e dice: «Ah,c'è gente che muore all'ospedale». Il degente all'ospedale vede attraverso ivetri della finestra impazzar per le strade il Carnevale, e pensa: «Meno male!C'è gente che si ricorda di noi».
Come se non bastasse il padre, anche la madre scrive lettere al piccolo Enrico.Una sui ragazzi rachitici; un'altra sul giorno dei morti.
Eppure, da tutto questo brulichio di storpietti, gobbini, zoppi, infelici,ciechi; da tutte queste prediche, viene fuori un mondo che tocca il cuore. Chi,ragazzo, non ha pianto per qualcuna di queste pagine, per qualcuno di questipersonaggi? Un mondo intriso di lagrime, dove il sole quasi non brilla mai. Madove risplendono le idee di bontà, pietà, patria, bandiera nazionale, padre,madre, fratelli, scuola, maestri.
Oggi tutto è calpestato, irriso, contestato, come si dice. Non c'è più nessunGarrone, nessun Derossi, nessun piccolo patriota padovano, nessun Coretti,nessuna piccola vedetta lombarda, nessun piccolo scrivano fiorentino; o nessunoaspira ad esserlo. Si cercherebbero invano tipi come il tamburino sardo,l'infermiere di Tata, come il protagonista di «Dagli Appennini alle Ande». Omagari ce ne sono, ma pare che facciano ridere.
Oggi, di tutto quel mondo ingenuo, se volete, perfino buffo, in certi aspetti,pare che conti soltanto e sia apprezzato soltanto il tipo Franti. Ricordate ilpersonaggio Franti? «Franti, tu uccidi tua madre!», gli dice il maestro. «Equell'infame sorrise!». Oggi pare che sia apprezzato soltanto chi uccide, ovorrebbe uccidere, sua madre, suo padre, i fratelli, gl'insegnanti, la scuola,i vecchi, la patria.

                                                                   ACHILLE CAMPANILE