1.6.16

Nuvole barocche

Cioran, uomo di grande lucidità, diceva che la vita, più che una corsa verso la morte, è una disperata fuga dalla nascita.
Quando veniamo al mondo affrontiamo una sofferenza e un disagio che ci portiamo avanti tutta la vita, quelli di un passaggio traumatico da una situazione conosciuta all'ignoto.
Questo è il primo grande disagio. Il secondo, non meno traumatico, è quando ci rendiamo conto che dovremo morire. Per me questa spaventosa consapevolezza è arrivata verso i quattro anni.
L'uomo diventa "grande", diventa spirituale o altro, quando riesce a superare questi disagi senza ignorarli.
Ora, se a essi si aggiunge anche l'esercizio della solitudine, ecco che allora forse, a differenza di altri che vivono protetti dal branco, alla fine della tua vita riesci a "consegnare alla morte una goccia di splendore", come recita quel grande poeta colombiano che è Alvaro Metis.
Se ti opponi, se ti rifiuti di attraversare e superare questi disagi, per sopravvivere ti organizzi affinché siano gli altri a occuparsene e deleghi.
Questa rinuncia ti toglie dignità, ti toglie la vita.
Credo che l'uomo, per salvarsi, debba sperimentare l'angoscia della solitudine e dell'emarginazione. La solitudine, come scelta o come costrizione, è un aiuto: ti obbliga a crescere.
Questa è la salvezza.

Fabrizio De Andrè