28.1.07

A day in the life.....




Tutto cominciò, secondo la Storia, a Liverpool, una mattina che John Lennon "il cattivo" incoraggiò "quel bravo figliolo" di Paul a marinare la scuola e a scrivere canzoni come "One After 909" (dieci anni più tardi inclusa nell’album "Let It Be"). Paul era compagno di scuola di George Harrison e nel 1958 "Little George", nonostante le resistenze di Lennon, finì con l’unirsi al gruppo, che allora si chiamava "Johnny and the Moondogs". Un anno più tardi, il complesso ottenne la prima scrittura, alla Casbah, e trovò il primo batterista, Pete Best. Nel 1960, di scena al leggendario Cavern con il nome di Silver Beatles i quattro ricevettero un’offerta per suonare ad Amburgo dove, per la cronaca, suonarono con "Mino e i suoi fratelli", cioè Reitano ed un improbabile Lucio Battisti. Ma questa è un’altra storia…

Rientrati a Liverpool, ebbero un ingaggio al Cavern, luogo tetro, stipato di gente, dall’atmosfera pesante, malvisto dai benpensanti. I primi sei mesi furono scoraggianti. I contratti discografici erano rari; nessuna casa discografica pareva interessata al rock and roll anni ‘50 che i Beatles suonavano. Finalmente, nel luglio 1962 i quattro incisero, fra le altre cose, Love Me Do e P.S. I Love You, che in autunno vennero pubblicate su 45 giri, entrando lentamente nelle classifiche.
La Storia racconta che nel 1963 il virus benigno ma fortemente contagioso si diffuse per le Isole Britanniche. In ottobre raggiunse la Scozia e, nel gennaio dell’anno seguente, Parigi. Un mese più tardi gli Stati Uniti erano caduti sotto il suo dominio, poi Copenaghen, Amsterdam, Hong Kong, l’intera Australasia. Le vittime, debolissime, con pupille dilatate, la testa fra le mani in estatica agonia, ora gementi, ora urlanti di gioia, cercavano disperatamente di unirsi ai portatori dell’infezione in un supersonico urlo d’estasi. Il loro grido annunciava l’arrivo di una nuova specie: con i Beatles aveva inizio una nuova epoca, quasi una mutazione genetica rispetto al passato.
A gennaio era uscita "Please, Please Me", primo successo del gruppo a raggiungere la vetta delle classifiche. Assediati dal pubblico anche durante le prove, seguiti alla televisione da 27 milioni di persone (più di quante avessero assistito all’Incoronazione della Regina), braccati dai giornalisti alla ricerca di fatti nuovi e di aneddoti liverpooliani, i Beatles sostituirono Dio e Sua Maestà nella scala dei valori esistenziali.
Sfrontati, ingenui, con forte accento dialettale, buon umore effervescente, ingegno vivace, e una micidiale propensione per i giochi di parole ("Quelli del loggione applaudano, alla prossima canzone" disse una volta John davanti al pubblico della Royal Variety "gli altri faccian pure tintinnare i gioielli"), i " favolosi quattro" erano così, e basta.
Si chiede Lanny Kaye nella sua "Storia del Rock": "Quale fu la causa della Beatlemania? Una reazione all’assassinio di Kennedy? La caduta dell’Impero Britannico? Mutazione genetica? Una precisa risposta forse non c’è; meno difficile spiegarsi perché tutto ebbe origine da un improbabile posto come Liverpool. Al pari di New Orleans, altra città musicale per eccellenza, Liverpool è un porto di mare, un luogo che assorbe un’ampia varietà d’influenze. Fu in quella cìttà che, per la prima volta in Inghilterra, vennero importati dischi americani. Inoltre, negli anni ‘50, i quartieri del luogo conobbero numerose bande di teppisti rock and roll. Non appena Rock Around The Clock comparve sugli schermi, cominciarono a formarsi le prime bande, che alla fine rivolsero principalmente il proprio interesse sui complessi del luogo. Il piccolo esercito giovanile aveva propri locali e anche un giornale musicale, il "Mersey Beat". A tal punto arrivava la fedeltà agli idoli della tribù che, quando nell’agosto del 1962, Ringo Starr lasciò la sua band e sostituì Pete Best come batterista dei Beatles, scoppiarono tumulti e Brian Epstein temette per la propria incolumità".
Con i Beatles ebbe inizio la moda del complesso, entità autonoma, identità collettiva a cui il pubblico poteva partecipare. 1 Beatles furono i primi di questi moschettieri del rock (uno per tutti e tutti per uno), giunti a quella struttura per via del potere unificante delle armonie vocali. Nelle prime canzoni, i quattro invitavano espressamente a entrare nella loro famiglia musicale, impiegando le canzoni come forma di dialogo con il pubblico. Di fronte a "Love Me Do", "From Me To You", "All My Loving", "I Want To Hold Your Hand",il pubblico rispondeva urlando...
Un’imponente campagna pubblicitaria, con 5 milioni di adesivi con la scritta " Stanno arrivando i Beatles " invase gli States.. In tre sole settimane, cosa mai accaduta prima, i Beatles arrivarono al primo posto. Quando scesero dalla scaletta all’aeroporto Kennedy, nel febbraio del 1964, vennero salutati da 10.000 fans in delirio. Avevano subito fatto colpo. Mentre i quattro passavano per i controlli doganali, migliaia di ragazzi scendevano le scale pettinandosi le acconciature con frangia, movendo le strette giacche a coda. I disc-jockey presero a misurare la temperatura in gradi Beatles, il tempo in Beatle-secondi. C’erano contenitorì di uova siglati Beatles, tappezzerie, bambole, magliette, parrucche, camicie da notte, orologi con la loro immagine. La leggenda racconta che un giornalista chiese: "Come avete trovato l’Amerìca?" e John rispose "A sinistra della Groenlandia".

Per dire.

John, Paul e George avevano suonato insieme per quattro anni prima di incidere il primo disco e proprio a quella lunga preparazione si deve il loro controllo sul linguaggio musicale. Ai Beatles vanno riconosciute le prime innovazioni nel rock. L’equilibrio delle diverse personalità, sia sotto il profilo musicale che sotto l’aspetto psicologico — ballate agrodolci per Paul, atteggiamento militante e giochi di parole per John , l’estro un po’ giocherellone di ringo, il misticismo di George— dava nuovi impulsi e creatività. Dato che tutti i brani erano scritti (almeno) a quattro mani, ne derivò un suono più vario e complesso di quello degli Stones.
Il rock and roll aveva costituito la maggior parte del loro repertorio, quando allo Star Club e al Cavern si esibivano in spettacoli di 6 o anche 8 ore ma i quattro non l’avevano mai considerata una musica vecchia, materia per esercizi di nostalgia. Per loro, quello stile era parte di una vicenda senza soluzione di continuità e nei personali rifacimenti, nelle citazioni, i quattro riportavano alla mente la vitalità e l’" immortalità" del miglior rock and roll. Il primo album suona come una dedica a quelle proprie radici, su "Help!" Paul imita alla grande Little Richard, in "I’m Down".
Ricordo ancora quando mi recai al cinema, all'epoca una sala da terza visione; avevo rotto abbondantemente per essere portato a vedere un film dei Beatles. Già da tempo conoscevo i vari 45 giri, soprattutto "A hard day's night" (il titolo, seppi dopo, fu suggerito a John da una battuta di Ringo) e "I should have known better", pezzi di una sonorità così nuova e sconvolgente per i tempi da provocare, in ragazzini così bravi, così "Dio Patria e Famiglia" e poco "fuori" come lo eravamo ai nostri tempi, degli autentici brividi con tanto di pelle d'oca e sudore freddo. Per tutto il film, forse eravamo nel 1967, quindi avevo una decina di anni, fu un continuo urlare assieme ai fans del film, quasi un concerto, la simulazione di un concerto, lo stare insieme per vedere qualcosa di così sconvolgente per noi, nella nostra città di provincia, insieme, gridando. Mai successo prima niente di simile. Mio padre, col suo Glenn Miller nelle orecchie, trasaliva. All'uscita dal cinema, ricordo, mi disse che se fossimo andati allo zoo almeno avremmo respirato aria pura (all'epoca nei cine si fumava....). La nostra rivincita di ragazzini sul melodico italiano, l'irrompere di un sogno di cui non si vedeva la fine, di possibilità diverse di essere ragazzi, di un mondo sconosciuto che avremmo voluto vedere e vivere. Un altrove che era Londra.
In quel film il regista , come trovai scritto anni dopo, fa fare di tutto ai Beatles e i Beatles fanno fare di tutto a lui. Loro impersonano se stessi e la beatlemania, allora all'apice; sono così naturali che non sembra neanche che stiano recitando.
Il primo album interamente composto da John, Paul e George, sulla spinta di una certa evoluzione musicale e lirica, è sicuramente "Rubber Soul", pubblicato nel dicembre del 1965, fu. Sino ad allora, John aveva limitato la perversa vena surreale ai suoi sforzi letterari ricchi di un qualche accento joyciano; dopo un incontro con Dylan a New York, però, l’artista cominciò a usare immagini maliziose anche nelle canzoni, che da "Norwegian Wood" in avanti acquistano in personalità. Gradatamente, i testi diventano quasi ermetici, come in "Strawberry Fields", "Across The Universe", "I Am The Walrus" e "Come Together" (vengono i brividi solo all’idea di un album che le contenga tutte insieme…). Con il sitar di "Rubber Soul", i quattro cominciano ad allargare anche il proprio vocabolario musicale e su "Revolver", forse l’album rock più innovativo di tutti i tempi, arrivano clavicembali, fiati,violini, nastri fatti girare al contrario: basta citare gli esperimenti elettronici di "A Day In The Life". Senza limiti tecnici o musicali, come l’uso di una marcetta che fa da tema conduttore a "Sergeant Pepper’s", il capolavoro psichedelico per il quale i Beatles vennero canonizzati da Timothy Leary come "I Quattro Evangelisti di Liverpool".
Quando tutto sembra andare di bene in meglio — erano le quattro persone più famose del mondo, "più popolari di Gesù", come John aveva detto sconsideratamente, alla ricerca dell’Illuminazione con l’aiuto del guru Maharishi — gli eventi cominciano a declinare. Prima la morte di Brian Epstein, per eccesso di barbiturici. Da quando i Beatles avevano smesso di girare in tournée, il suo mondo era crollato. Senza "Papà", come Paul lo aveva soprannominato, i Beatles finiscono col diventar preda della megalomania affaristica, di facili schemi psichedelici, di tautologie trascendentali, dilaniati da lotte intestine. Dai tempi del " doppio bianco ", nel 1968, John, Paul, George e Ringo praticamente smettono di suonare insieme. Il vero scioglimento avviene molto prima di quello ufficiale, nel gennaio del 1971. Il loro incredibile ottimismo che, per spontanea esuberanza, per energia, per immaginazione ci ha regalato una visione pulita del mondo viene a mancare, dopo un’ultima apparizione sui tetti di Abbey Road e, forse, del mondo. Tutto quello che con loro diventava gioco, con il teatrino discografico, con le canzoni-sciarada di John, con il Sottomarino Giallo, un gioco col quale si possano però risolvere i problemi del mondo attraverso la musica, spariscono su un malinconico "Let it be"; risolvere i problemi no, ma basta ancora una loro "Eleanor Rigby", "Michelle", "Yesterday" per sperarlo, per almeno un minuto, o per regalare un sorriso. O una lacrima..

1 commento:

  1. Anonymous22/2/09 18:22

    Ciao!!
    Parla una fan appassionata dei Beatles!!

    Mi è piaciuto molto anche a me questo post!!! Hai raccontato tante,tante cose che magari non tutti sanno!!!
    Thanks!!! =)

    ps Beatles per sempre!!!

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