27.4.11

E’ da quando ho imparato a leggere che mi scontro con le parole ; un rapporto di odio ed amore, nella purezza di un bambino.
Ci ho giocato, mi ci diverto,  le ascolto nella loro musicalità quando ben pronunciate, mi ci arrotolo, le modifico, ne cerco il significato. Mi ci taglio dei pezzi d’anima, o viceversa mi ci chiudo le ferite. Ne cerco nei giornali, nei libri, nelle canzoni, nei film, adesso nei diarii in rete, fino a quando non riesco ad inquadrarle nel loro giusto peso. Non riuscirei mai, però, ad appassionarmi a luoghi comuni e frasi fatte.  Ho anche una certa simpatia per i neologismi, anche se credo di detestare termini come “vu’ cumprà” o, sulla scia delle trasmissioni tv di cucina e chef, “gastrofighetti” (il che lascia supporre che esistano anche dei “gastrosfigati”, quorum ego…).
L’unica discussione lessicale che ho avuto a scuola fu,  per dire, quella con la professoressa di Italiano: mi contestò l’uso, nello svolgimento di un tema in cui parlavo del disgusto che mi procuravano quei personaggi un po’ squallidotti che andavano nei paesi dell’Est con valigie piene di collant e penne biro a concupire sane e solide ragazzotte indigene (siamo a metà anni 70, per inquadrare l’era mesozoica a cui mi riferisco),  del termine “maialare” (“Li vedi al sabato mattina nel piazzale di un cinema, caricano questi loro bagagli sul macchinone e partono verso Varsavia o Budapest pronti per andare fin là a maialare: conchiglie e pietruzze colorate in cambio di perle”).
Tante sono le espressioni che mi urtano, le trovo odiose: una di queste, portata in auge in questo periodo nei dibattiti “politici”,  è meritocrazia.
La trovo cacofonica, ma questo poterebbe anche essere un problema solo mio: quello che invece è un problema di tutti è la sua assoluta insignificanza, sopratutto in questo Paese che l'ha coniata, e che se ne riempie la bocca troppo spesso, in primo luogo per tagliare a destra e a manca; ma anche per tenersi stretti privilegi ereditati, o acquisiti per vie strane, in una gamma che va dal sudore delle natiche ai cervelli in vendita,  dalle piaggerie lampanti al “di’ che ti mando io”. E tutto questo in un paese che è rimasto tuttora feudale, fascistoide, corporativo, servo del papa re,  e mammasantissima  nel suo profondo. Basta leggere con occhio disincantatao la cronaca: è gestito da oligarchie ereditarie nell'industria, nelle libere professioni, manco a  dirlo nella politica, nella finanza, nel giornalismo. Andando a fondo anche nei gradini più bassi di lavori ed attività, si trova nepotismo, e tanto più si sbandierano proclami sulla meritocrazia, che riempie tanto la bocca. Tutti gli ambienti sono farciti da "figli di", se scorrono i titoli di un film qualsiasi o di programmi tv si sprecano cognomi uguali: è tutto così, e la cosiddetta meritocrazia serve soltanto per apparire politicamente corretti, un po’ come quando gli intervistati alle code in autostrada si lamentano del traffico e di tutti quelli che hanno preso la macchina proprio quel giorno, ovviamente seduti a bordo della loro. 
Ma, anche senza nepotismo, è possibile ed ha senso, (tralasciamo pure  l'aspetto genetico: esistono anche i veri talenti) parlare di meritocrazia,  riferendosi ad un bambino di genitori stranieri che non possiedono un libro e che vivono in cinque con 700 euro, ed un bambino simile, “figlio di”, che ha biblioteche in casa, internet, l’ Ipad, quattro vacanze all'anno, musei con guide per bambini, pomeriggi densi di palestre/danza/tennis/nuoto, etc etc ?
Il merito e la capacità hanno ben poco a che fare con il successo ed il raggiungimento degli obiettivi, se non esistono le condizioni necessarie di partenza. Nel mio ambiente di lavoro e nel mio giro di conoscenze ne  ho viste tante,  di belle teste naufragate nelle impellenze del bisogno, così come vedo delle autentiche ritardate arrivare a posti di livello elevato.
Don  Milani sosteneva che “non c'è nulla di più ingiusto che  usare lo stesso trattamento fra diversi” ; viceversa l’attuale Presidente del Consiglio disse con aria scandalizzata e schifata  che "ciò che propone la sinistra è di rendere il figlio del professionista uguale al figlio dell'operaio".
Allora, è giusto e sano non prendersi in giro, non credere a chi usa la parola “meritocrazia” quando si riferisca in realtà ad un bel corpo ed al sapiente uso dello stesso, o alla particolare abilità che nei paesi anglosassoni viene definita “brown tongue” (diciamo “eccesso di piaggeria”?): questo, in realtà, accade davvero. 
Al limite, come ci insegna la cronaca recente, il nepotismo è solo postumo, come nel caso di certe “nipotine”: altrimenti il merito  è rigorosamente rispettato. 
Misure comprese.

Nessun commento:

Posta un commento